venerdì 7 ottobre 2011

Le formiche della matematica

Ottobre è il mese di degli esami di dottorato in alcune delle università italiane: in particolare lo è per quella di genova ed ancor più in particolare lo è per matematica a genova..

Il lavoro di dottorando o di ricercatore in matematica è un mestiere strano dove talvolta sei costretto a confrontarti con personaggi che sanno fare molto meglio il tuo lavoro e dove purtroppo, in alcuni casi, non c'è buona volontà che tenga perchè tu al loro livello non ci arriverai neanche in un'altra vita anche quando avessi speso tutta la attuale vita a studiare.

Questa strana premessa per linkare (per quei pochi che possono essere interessati) il testo di un discorso preso dal blog di Terence Tao che - per chi non lo sapesse - è stato una delle ultime medaglie Fields (un analogo del Nobel ma solo per matematici) ed è attualmente la maggior celebrità tra i matematici moderni. Il testo descrive il punto di vista di Tao su quello che è il ruolo dei matematici minori i quali sotto un certo punto di vista raccattano le briciole del pane sfornato da grandi uomini come Tao.

L'universo ritratto da Tao è quello di un grande quadro di insieme dove anche il lavoro delle più umili formiche serve a far progredire la scienza anche solo per il fatto che magari esse - con la loro attività - possono scovare e fare emergere problemi che erano sfuggiti agli occhi dei grandi uomini.

Il testo è un po' tecnico e non interesserà a tutti ma siccome questo blog ha salde radici (e utenza) nel dipartimento, lo posto, anche solo come augurio a chi il mestiere di ricercatore lo comincerà dopo ottobre, appunto, o a chi invece ha da poco cominciato l'anno accademico.

Bisogna essere un genio per fare matematica?

È meglio guardarsi da nozioni come genio e ispirazione; sono una specie di bacchetta magica e dovrebbero essere usate con cautela da chiunque voglia vedere le cose con chiarezza. (José Ortega y Gasset, “Sul romanzo”)

Bisogna essere un genio per fare matematica?

La risposta è un NO enfatico. Per dare dei contributi buoni ed utili alla matematica, uno deve lavorare duramente, conoscere bene un settore, conoscere altri settori e altri strumenti, fare domande, parlare con altri matematici e pensare al "quadro d'insieme". E sì, sono anche richieste una ragionevole quantità di intelligenza, pazienza e maturità . Ma non serve una qualche sorta di magico "gene del genio" che spontaneamente generi ex nihilo profonde intuizioni, soluzioni inaspettate ai problemi, o altre abilità soprannaturali.

L'immagine popolare del genio solitario (e forse anche un po' matto), che ignora i lavori precedenti e la conoscenza convenzionale e riesce, con qualche inesplicabile ispirazione (potenziata, forse, da un tocco a piacere di sofferenza ) ad inventarsi un'originale soluzione mozzafiato ad un problema che aveva messo in difficoltà tutti gli esperti, è un'immagine affascinante e romantica, ma anche parecchio sbagliata, almeno nel mondo della matematica moderna. Ci sono ovviamente risultati e intuizioni spettacolari, profondi e notevoli in questo campo, ma sono il faticoso raggiungimento finale di anni, decenni, o anche secoli di costante lavoro e progresso compiuto da molti grandi e bravi matematici; il progresso da uno stadio di comprensione al successivo può essere terribilmente non banale, e spesso piuttosto inaspettato, ma tuttavia si costruisce sulla base dei lavori precedenti, piuttosto che ripartendo totalmento da zero. (Questo è per esempio il caso del lavoro di Wiles sull'Ultimo teorema di Fermat, o di Perelman sulla Congettura di Poincaré.)

In effetti, trovo che la realtà della ricerca matematica attuale, in cui i progressi sono ottenuti naturalmente e in modo cumulativo come conseguenza di un duro lavoro, diretto dall'intuizione, dagli studi precedenti e da un pizzico di fortuna, sia molto più soddisfacente dell'immagine romantica che avevo da studente, di una matematica che progrediva principalmente grazie alla mistica ispirazione di una rara stirpe di persone "geniali". Questo“ culto del genio” comporta infatti non pochi problemi, poiché nessuno è capace di produrre queste (molto rare) ispirazioni su base anche approssimativamente regolare, e con con un'affidabile e consistente correttezza. (Se qualcuno mostra di farlo, sono del parere di rimanere molto scettico sulle loro affermazioni.) Lo sforzo di provare a comportarsi in questo modo impossibile può portare alcune persone a diventare troppo ossessionate con i "grandi problemi" e le "grandi teorie", altri a perdere quel sano scetticismo nel proprio lavoro o nei loro strumenti, e altri ancora a diventare troppo scoraggiati per continuare a fare matematica. Inoltre, attribuire il successo al talento innato (che è al di là del proprio controllo) piuttosto che ai propri sforzi, alla pianificazione, all'istruzione (che invece sono in qualche modo controllabili) può portare ad altri problemi ancora.

Certamente, anche se uno lascia perdere la nozione di genio, sarà ancora possibile che in un dato istante di tempo alcuni matematici siano più veloci, con maggiore esperienza, maggiori conoscenze, più efficienti, più attenti, o più creativi di altri. Questo non implica, tuttavia, che soltanto i "migliori" matematici debbano fare matematica; questo è l'errore comune di scambiare il vantaggio assoluto per il vantaggio comparato. Ci sono talmente tanti settori di ricerca matematica interessanti e problemi da risolvere, molto più di quelli che possono essere trattati in dettaglio dai "migliori" matematici, e qualche volta l'insieme degli strumenti e delle idee che possiedi ti permetterà di trovare qualche cosa che altri bravi matematici non hanno visto, anche perché anche i più grandi matematici avranno pure loro delle debolezze in alcuni aspetti della ricerca matematica. Fino a che riesci ad imparare, hai delle motivazioni, e abbastanza talento, ci saranno sempre alcune parti della matematica in cui potrai dare un solido e utile contributo. Potrebbe non essere la parte più "glamour" della matematica, ma in pratica questo porta a una cosa abbastanza sana; in molti casi viene fuori che i banali aspetti pratici di un argomento sono molto più importante di qualsiasi sofisticata applicazione. Inoltre, è anche necessario "fare pratica" in qualche parte non-alla-moda di un certo settore prima di poter avere la possibilità di confrontarsi con un famoso problema; date un'occhiata alle prime pubblicazioni di uno qualsiasi dei grandi matematici di oggi per vedere cosa voglio dire.

In alcuni casi, un'abbondanza di talento grezzo può finire (un po' perversamente) per essere in effetti dannoso per lo sviluppo matematico a lungo termine di una persona; se le soluzioni dei problemi si trovano troppo facilmente, per esempio, uno potrebbe non mettere abbastanza energia nel lavorare seriamente, fare domande stupide, o allargare il proprio orizzonte, e quindi potrebbe eventualmente portare ad un ristagno delle proprie abilità. Inoltre se uno è abituato a un successo facile, potrebbe non sviluppare la pazienza necessaria per trattare problemi veramente difficili. Il talento è importante, certamente; ma come uno lo sviluppa e lo nutre lo è ancora di più.

È anche utile ricordare che la matematica professionale non è uno sport (in opposizione alle gare matematiche). Lo scopo in matematica non è di ottenere il piazzamento migliore, il "punteggio" più alto, o il maggior numero di premi e riconoscimenti; è invece quello di aumentare la comprensione della matematica (sia per sé stessi, che per i propri colleghi e per gli studenti), e contibuire al suo sviluppo e alle applicazioni. Per questi compiti, la matematica ha bisogno di tutte le persone in gamba che si riescono a trovare.

Vi suggerisco infine di leggere l'articolo “How to be a genius“, di David Dobbs, New Scientist, 15 September 2006. [Ringrazio Samir Chomsky per avermelo segnalato.]

(Tradotto per gentile concessione dell'autore, qui il post originale in inglese)

3 commenti:

  1. Questo post è bellissimo.

    Quante volte la gente comune non comprende che il genio può nascere solo dalla dedizione e dall'applicazione. Io anche non ho mai sopportato una competitività stile quello delle gare, nelle quali non si prova assolutamente nulla.

    Se mai ne avrò la possibilità io diventerò una di queste formiche, in un modo che forse nemmeno io mi aspettavo...

    Mi interesserebbe l'opinione di un grande matematico come Vabba sull'argomento. Il potere dell'intuizione non può essere sottovalutato, credo... Ma sono convinto che l'intuizione arrivi solo dopo tanta, tanta, TANTA cultura, possibilmente variegata, e la passione per ciò che si sta facendo. Nessun matematico che si rispetti crede più davvero alle folgoranti illuminazioni divine private di un contesto, una storia e un passato.

    Persone come Riemann, come Abel o come il giovane Galois appartengono a un mondo che non è più il nostro.

    Grazie Doson per questa riflessione.

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  2. Beh, visto che sono stato chiamato in causa, eccomi.

    Intanto ringrazio Bolo per il complimento. Poi, in realtà, non è che abbia molto da aggiungere, perché quello che dice Tao è esattamente quello che penso... Forse la differenza sta nel fatto che quelli che per me sono i grandi matematici per lui sono le formiche =) Però non credo: personalmente, devo ammettere che non ho mai parlato di matematica con una medaglia Fields. Ma, secondo me, certa gente con cui ho parlato si avvicina di molto a loro...

    Apro una parentesi: ci sono medaglie Fields e medaglie Fields. Tao (lo dico per sentito dire perché purtroppo non ho mai letto un suo lavoro) è molto di più che una medaglia Fields. Lo stesso vale per Grothendieck e Serre (il lavoro dei quali, invece, conosco bene) o per Wiles (che fra l'altro la Fields non l'ha mai vinta). La mia impressione, però, è che la maggior parte delle medaglie Fields siano matematici eccezionali, ma non superiori a molti altri che invece non l'hanno vinta (senza bisogno di scomodare Wiles). Per fare un esempio, per me Hartshorne (che non l'ha mai vinta) e Mumford (che invece l'ha vinta) sono matematici più o meno dello stesso livello.

    Chiudendo la parentesi, visto che il post di Doson è rivolto a chi vuole iniziare il dottorato, vorrei fare un'affermazione un pò forte, ma che spero tolga un pò di "paura dell'ignoto": prendete uno dei matematici migliori di Genova, diciamo A, e uno mediocre, diciamo B. (Per il mediocre non c'è bisogno di prendere il più scarso, diciamo un ricercatore che fa il suo lavoro dignitosamente). Non voglio scrivere nomi, ma ho degli esempi concreti. Ecco, la differenza, come livello matematico, fra Tao ed A è meno di quella che c'è fra A e B! Forse siete perplessi, ed è anche possibile che mi sbagli, visto che Tao non l'ho mai conosciuto. Ma è quello che penso, e per cercare di convincervi faccio un paragone calcistico: Tao=Messi, A=Giuseppe Rossi, B=un giocatore che all'apice della sua carriera gioca in serie C. Se volete, riallcciandoci a prima, si può proseguire il paragone con medaglia Fields=pallone d'oro.

    Finisco dicendo che il nostro amico B, comunque, può togliersi grandi soddisfazioni, come scrivere un articolo da 100 citazioni, approfittando di una grossa briciola sfuggita ai grandi (per un articolo di matematica 20 citazioni sono già tante). E il bello, alla fine, è proprio questo: tutti possono avere il loro momento di gloria.


    Vabba

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  3. Bellissimo post! e sono d'accordo con Vabba. (Anche se a Giuseppe Rossi gli ha portato un po' sfiga.) Aggiungerei questo: La maggior parte degli scienziati di prima categoria (inclusi matematici e informatici, ecc.) e' ben lieta di parlare a conferenze, o di scrivere blog, e di proporre propone nuovi problemi per tutti i livelli, anche per dottorandi di primo anno. Leggete il blog di Tao!, o di Luca Trevisan: loro sanno dove la scienza sta andando. E in un certo senso, ci dicono cosa e' importante studiare e cosa no. Se vi capita, andate a conferenze, e parlate con questi grandi scienziati. Tutti a casa di Grothendieck!

    Bruno

    P.S. il nostro amico B ha gia' raggiunto le 100 citazioni!, scrivendo 101 articoli di una pagina ciascuno.

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