giovedì 29 marzo 2012

L'Università del precariato

Che la situazione dell’università italiana non sia rosea è cosa risaputa. Si sente e si è sentito tanto parlare di tagli alla ricerca, di fuga dei cervelli, di accentramenti, eccetera, ma fino ad ora non mi era mai capitato di leggere nessun articolo che andasse così nel dettaglio delle prospettive dei precari dell’università come quello che ho letto qualche giorno fa su Repubblica. Sebbene la scarsità e la cattiva gestione dei fondi per università e ricerca siano un problema che non riguarda soltanto chi in università lavora ma anche (o forse soprattutto?) chi l’università la frequenta o la frequenterà da studente, nonché il prestigio e l’avanguardia scientifica nazionale, resta il fatto che la situazione del precariato universitario è sempre più grigia ogni anno che passa: prospettive di continuità all’interno degli ambiti universitari bassissime, assenza di tutele e contributi versati e difficoltà nel trovare sbocchi anche nell’ambito privato (causa età avanzata e scarsa dimestichezza con tematiche spendibili nel mondo del lavoro). L’articolo di cui sopra, che riporta i dati di una ricerca condotta dall’ADI, associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (vale a dire la quasi totalità del precariato universitario), descrive una situazione in cui addirittura l’85% del precariato universitario non avrà mai un contratto a tempo indeterminato in un’università italiana. Il dato è una discreta mazzata per tutti quelli che abbiano qualche ambizione in questo settore anche se, a mio parere, non tiene conto della percentuale (comunque bassa) di chi – per scelta – decide di trovare lavoro in università estere o in ambito privato.
Siccome in università ci ho passato un discreto periodo di tempo, vorrei fare due conti sul come si presenta la situazione a Matematica a Genova, un po’ per vedere se effettivamente siamo in linea con i numeri dell’articolo ma anche perché, spesso, descrivere una situazione particolare fa capire molto meglio quello che percentuali e cifre a nove zeri non lasciano trasparire. Breve premessa: quella del dottorato è la strada che comunemente si intraprende subito dopo la laurea se si vuole diventare professore in un’Università o in un altro ente di ricerca. Fino ad oggi (con la riforma Gelmini sono state introdotte delle modifiche), ottenuto il titolo di Dottore di Ricerca, il percorso classico di un aspirante professore è stato quello di andare avanti con contratti a tempo determinato (detti post-doc) partecipando, contemporaneamente, a concorsi da ricercatore, prima posizione a tempo indeterminato raggiungibile in ambito accademico. Un percorso difficile e minato da molte difficoltà: sebbene (in proporzione) non sia troppo complicato vincere una posizione da dottorando, gli assegni post-doc non sono altrettanto facili da ottenere; ma, quel che più importa, è che non si ha nessuna garanzia sul se (e con che tempi) si riesca a vincere un posto da ricercatore. Le variabili sono molte: legate alle abilità di ognuno e alla rilevanza del proprio curriculum ma anche al numero di posti banditi nel settore scientifico di competenza.
In nove anni, a Matematica a Genova, sono stati banditi soltanto quattro concorsi da ricercatore. Lo stesso dipartimento foraggia quattro borse triennali di dottorato l’anno e ne mette a disposizione altrettante senza borsa: cioè almeno trentasei precari per quattro posti a tempo indeterminato in nove anni! La forbice inizia a stringersi già nel passaggio tra dottorato e post-doc (e forse è un bene in quanto il precario scaricato dall’università è più giovane e più appetibile per il mondo del privato): il dipartimento, infatti, attualmente stanzia fondi per una sola borsa biennale ogni due anni, relegando il futuro immediato di chi ha già raggiunto il titolo di dottore di ricerca alla disponibilità finanziaria del singolo gruppo di ricerca in cui lavora. Se è vero che il mondo della ricerca è globale, è comunque chiaro che se tutti i dipartimenti d’Italia mantenessero le proporzioni genovesi i precari dell’università avrebbero davvero poca strada davanti a sé.
Cosa concludere? Che fare ricerca è un mestiere nobile ma con una posta in gioco davvero molto alta: nessuna garanzia e come unico salvagente l’estero. Conseguenze di questa situazione? Non riguardano soltanto le problematiche dei giovani che scelgono tale carriera ma coinvolgono la salute dell’intero sistema universitario: assenza di ricambio generazionale e, a lungo andare, impoverimento dei contenuti proposti agli studenti. Un sempre minore volume di ricerca svolto dai nostri atenei che scompariranno al cospetto di quelli degli altri stati, più produttivi.

Al porto di Voltri

Questo articolo parla della vicenda del container radioattivo che ha stazionato nel porto di Voltri per più di un anno, fra l'incredulità e la preccupazione della popolazione. E' scritto molto bene e soprattutto mette in luce l'oggettiva difficoltà di controllare il numero enorme di container che ogni giorno vengono smistati in giro per il mondo. Riporto l'epilogo della vicenda:
"In ogni caso, il mistero del container 307703 non è più una preoccupazione dei genovesi. Il pezzo di cobalto rimasto nel porto per oltre un anno, oggi è a centinaia di chilometri di distanza, il container che lo ospitava è diventato a sua volta un rottame. E domani arriveranno altri mille container di merci."

L'articolo è scritto da Andrew Curry sulla testata italiano di Wired, il famoso mensile USA che negli anni si è guadagnato il titolo di "Bibbia del web".

mercoledì 21 marzo 2012

Capodanno Iraniano



Oggi si festeggia il capodanno iraniano, o Noruz, che segna il primo giorno dell'anno solare e coincide con l'equinozio primaverile. E' una festa di origine zoroastriana sopravvissuta all'avvento dell'islamismo del VII secolo in molto zone asiatiche e mediorientali.

La tradizione vuole che la vigilia sia da celebrare in famiglia, mangiando piatti a base di riso ed erbe. Il resto dei tredici (13) giorni di festeggiamenti vanno dedicati alla riconciliazione nei rapporti interpersonali, mentre l'ultimo giorno è usanza fare un gita.


Sul Post le foto dei festeggiamenti a Kabul.
(ps: ieri avevo dimenticato di aggiungere una delle foto..)

domenica 18 marzo 2012

Clooney e il manifestare

L'arresto di Clooney ispira in maniera indiretta questo post. Non scriverò del Sudan (anche se probabilmente ve ne sarebbe più motivo) ma di arresti e manifestazioni o, più in generale, di manifestazioni che creano disagi e delle relative conseguenze.

Partiamo da alcuni fatti: è chiaro che la maggior parte dei diritti di lavoratori e non solo sono stati ottenuti tramite manifestazioni e che la manifestazione è una delle espressioni più naturali e più salutari di una democrazia. Ma è chiaro anche che la curva che descrive la risonanza data dai media alle idee ispiratrici di una manifestazione al variare del disagio che questa crea al cittadino è una parabola. E che fare un po' di casino riuscendo a fermarsi al momento gusto può essere un efficace modo per far sì che ciò che volevi esprimere arrivi alle orecchie di un gran numero di persone: per esempio, occupare una stazione per mezz'ora può far scrivere di te e delle idee che esprimi sui giornali quando, non facendolo, nessuno ti avrebbe dedicato due parole in croce; però, contemporaneamente, bruciando auto e cassonetti rischi che l'eco del casino che hai combinato superi di gran lunga quello dei temi che ti interessava portare.

L'arresto di Clooney mi ha riportato alla mente la notizia di qualche mese fa in cui, a New York, la polizia aveva reagito a manifestanti che bloccavano il ponte di Brooklyn caricandoli a centinaia su pullman per portarli in commissariato per poi processarli per il disagio che avevano creato.

Le notizie di fermi in conseguenza a manifestazioni pacifiche suscitano sempre un po' di apprensione ma la verità è che una manifestazione è pacifica non soltanto quando non vengono commesse violenze o bruciati cassonetti ma anche quando non vengono occupati binari o autostrade o, in generale, quando non vengono commessi reati. Bloccare una stazione, una strada o un ponte è una violenza che pochi commettono a danno di molti e, di conseguenza, coloro che la mettono in atto dovrebbero pagarne le conseguenze.

La sensazione è che in Italia ciò non accada mai. In generale, la polizia si limita a far sfollare o a contenere in modo che la manifestazione non degeneri in un qualcosa di più violento, fermando qualcuno (pochi e a campione) soltanto quando ci sono degli scontri con le forze dell'ordine. Alle volte questo accade per mancanza di mezzi o organizzazione o per opportunità: rischio di far montare la tensione e peggiorare le cose e magari farci una figura di merda o anche solo voglia di evitare di tirar su eventuali polveroni polemici del giorno dopo. Il problema, però, è che continuando placidamente a tollerare, l'occupare stazioni o autostrade sta diventando un'abitudine non sanzionata se non quasi un diritto, quando si è in tanti a protestare.

In questo (per me pessimo) articolo del Fatto, il giornalista si sente migliore dell'umanità di prima classe freccia rossa che inveisce malamente contro i manifestanti notav che hanno bloccato la linea su cui transitavano e implicitamente giustifica gli unici stanno effettivamente commettendo un reato, cioè quelli che bloccano la linea. Lui scopre di stare dalla parte giusta dell'Italia, tra quelli che amano il proprio paese, cioè non tra quelli che si incazzano (seppur in modo poco ortodosso) perchè per l'ennesima volta i loro diritti sono violati. Per me sbaglia, perchè il lamentarsi di questa gente è conseguenza della tolleranza o solidarietà che quelli come lui hanno nei confronti di chi, per far valere i propri diritti, calpesta quelli altrui. Impunemente.

giovedì 15 marzo 2012

Omaggio a ZeroCalcare

Signore e signori, vi presento il fumetto online più furbo degli ultimi 26 anni e qualche mese. L'autore si chiama ZeroCalcare ed è un genio. E' un fumettista ventottenne con all'attivo numerose collaborazioni con giornali e periodici e la recente pubblicazione di un libro di centotrentasei tavole prodotto dal divino Makkox.
Ogni lunedì mattina posta una nuova striscia (fumetto?) (tavola?): protagonisti sono lui stesso e i personaggi che hanno popolato la sua infanzia e la sua lunga adolescenza che -pare- non si sia ancora conclusa. Scoprirete come molti di questi personaggi siano comuni agli eroi della nostra stessa infanzia & adolescenza-lunga, in quanto tutti figli degli anni '80 e inconsapevoli cultori della tv commerciale anni '90!!!
Buona lettura!

martedì 6 marzo 2012

Sguardi


Una carrellata di Sguardi di donne e uomini ad opera di un fotografo di nome Ze, che li ha scattati tra Porto, Berlino, Stoccolma e l'Italia.

Sguardi raccolti in un post in cui Ze aggiunge anche le sue suggestioni sul rapporto tra macchina fotografica (una Leica!), fotografo (lui) e fotografato (gli altri, ma anche se stesso).

No, io non uso teleobiettivi quando devo fotografare persone. Quando devo “rubare le anime”. Mai. Sono li, vicino a loro. Il piu vicino che posso. Il piu vicino che l’altra persona mi lascia avvicinare.


Si chiama "Something about a revolution" il blog di Ze, fotografo non-italiano (forse portoghese?). Contiene le sue foto che sembrano scattate cercando le emozioni piuttosto che la tecnica, perché -come scrive lui-
perche a quel punto non sono io che rubo l’anima a nessuno.
A quel punto c’e un scambio di anime.

venerdì 2 marzo 2012

Sulla tav e sui no tav

Premetto che, pur nel tentativo di essere quanto più obiettivo possibile, questo post sarà sicuramente segnato da quella "diffidenza un po' reazionaria" con cui di solito mi approccio ai problemi. Ma per fortuna, nel blog, spiriti liberi e menti aperte non mancano e spero abbiano voglia di ribattere a dovere.

Tanto per cominciare e al di là del merito della questione, non simpatizzo con i no tav perchè, anche se penso che sia giusto manifestare, che sia giusto tentare di dialogare con le istituzioni e che sia giusto fare mille ricorsi a tar, eccetera, sono anche convinto che, alla fine, quando lo stato prende una decisione, quando questa viene confermata dagli organi giudiziari preposti e quando non si siano trovati appigli sufficientemente forti in politica per far valere le proprie obiezioni, alla fine di tutto ciò si debba desistere e sia giusto attenersi alle decisioni della maggioranza (rappresentata dal parlamento).. Magari continuando a manifestare pacificamente se lo si ritiene opportuno, però senza inscenare la bagarre a cui da molto tempo assistiamo.

Detto questo, mi interessa entrare per quel che mi è possibile nella questione: ho cercato di leggere qua e là e di informarmi sulle motivazioni del no (un riassunto a fondo pagina) e una cosa mi ha lasciato perplesso. La principale motivazione che viene sempre addotta dai no tav è quella della mancanza di convenienza da parte dello stato a fare un investimento della portata della tav: il traffico lungo il frejus è in calo e le stime fatte sulla crescita del trasporto passeggeri e merci vanno ben oltre l'ottimistico. In più, al momento, pochissime merci viaggiano su tav perchè viaggiare su tav costa di più e sono ben pochi i casi in cui è così importante che un prodotto arrivi mezz'ora prima a destinazione da accollarsi spese di trasporto maggiori. E ancora: la tav viaggia alla francese, cioè a corrente alternata, quindi gli ic non ci possono andare e alla fine i binari tav risultano ampiamente sottoutilizzati. Potrei continuare ma mi fermo: non so se queste considerazioni siano vere o no, ma decisamente alle mie orecchie suonano molto plausibili.. E allora perchè mi stupisco? Mi stupisco del fatto che il primo motivo di tutta questa rivolta sia il combattere contro lo spreco di denaro della macchina pubblica.. Ma quanti ce ne sono stati fin'ora?! Quanti ce ne saranno in seguito?! Dov'era questa gente fino adesso?!

Non voglio essere frainteso: è assolutamente lodevole che la gente si prenda a cuore il modo in cui i soldi statali vengono spesi ma, se questo è il principale motivo dell'ondata di indignazione che riempie i tg di tutti i giorni, siamo ben oltre il giustificabile! Mi spiego: avrei di gran lunga compreso di più se, a principali motivazioni della protesta, ci fossero state le ragioni delle famiglie espropriate o di quelle costrette a vivere a fianco al treno o comunque ragioni legate a problematiche locali.. Gli sprechi di denaro pubblico fanno incazzare chiunque ma un tale sfogo sarebbe a me comprensibile solo se sapessi che i no tav sono extraterrestri sbarcati in Italia da pochi mesi! Anche questa, purtroppo, è l'Italia.. dove siete vissuti fin'ora?! Quello che questa considerazione mi fa pensare è che dietro i no tav siano altri interessi (altrimenti non me lo spiego!) o più probabilmente la mera volontà di fare casino e di combattere lo stato oppressore (un po' come allo stadio).

Gli altri motivi no tav? Se ne arrivano ad elencare persino 150 ma quelli più gettonati sono 1) la paura di infiltrazioni mafiose e 2) il fatto che la tav provocherebbe danni gravi all'ambiente circostante. 1) Sicuramente è un problema reale con questa filosofia non faremo mai niente; 2) Forse vero, ma allora le autostrade? E le linee ferroviarie già esistenti? Perchè non ci sono state rivolte anche per quelle?

Concludo con qualche considerazione legata alla mia esperienza personale: 1) Andare all'estero in treno è sempre molto complicato: treni lenti e cambi assurdi e frequenti.. Non sarà anche per questo che di passeggeri non ce ne sono poi molti? Migliorando le linee magari la gente il treno lo prende.. 2) Quando hanno costruito l'autostrada A7 nel 1935 forse qualcuno avrà protestato dicendo che sarebbe servita a pochi.. 3) Viviamo in un clima in cui, qualunque grande decisione prenda lo stato, c'è sempre qualcuno che si barrica.. Anche gli altri stati sbagliano e sperperano, meno di noi ma comunque accade.. Però, su infrastrutture di questa portata e che potenzialmente possono contribuire, a livello globale e magari dopo anni, a modernizzare l'Italia più di tante altre imprese, per me, è meglio spendere male che non spendere affatto..