sabato 31 dicembre 2011
Buon 2012
Per augurare un buon 2012 a tutti i lettori del blog, ho scelto questo video, che in dieci minuti racchiude tutti gli avvenimenti importanti degli ultimi 100 anni. Un piccolo ripasso di ciò che abbiamo fatto, ma soprattutto di ciò che non dobbiamo più fare.
Il 2011 che si chiude è stato l'anno della crisi economica, della fine del governo Berlusconi, del referendum, del terremoto in Giappone e soprattutto delle rivolte in tutto il mondo, della fine di grandi dittature e della morte di terroristi e governanti.
A questo riguardo, la frase dell'anno a mio parere è questa:
I popoli delle rivoluzioni non sempre hanno ragione. Ma i dittatori non ce l'hanno mai.
(Giovanni Fontana).
Buon anno a tutti!
Due anni
Si sta per chiudere il secondo anno di Quinto Postulato, che ultimamente è stato un po' trascurato ma non è mai rimasto inattivo, anche grazie a chi nella prima parte di quest'anno ha scritto meno (grazie Doson e Bolo).
Nonostante tutto, ormai abbiamo un buon numero di visitatori fissi, e pur scrivendo poco abbiamo fatto quasi 800 visite. In tutto l'anno, abbiamo superato le 13000 visite, più del doppio dell'anno scorso, direi un ottimo risultato!
Abbiamo scritto una quarantina di post in più rispetto all'anno scorso, abbiamo creato nuove rubriche e abbiamo avuto tanti commenti, anche se i post che hanno creato accese discussioni si possono contare sulla punta delle dita.
I post più letti del 2011 sono stati "Il partito del...", "Meglio un vecchio porco" e "Zero Gas". I più commentati invece sono stati "Ragazzi... ma siamo pazzi??", "iPhone: rivoluzione culturale?", "CL e Silvio" e nuovamente "Zero Gas".
Le città che ci hanno più visitato (Genova e La Spezia escluse) sono state Roma, Milano e Parma, i paesi che ci hanno più visitato (Italia esclusa) sono stati l'Inghilterra (grazie a Lore), la Francia, gli Stati Uniti e la Svizzera.
Le chiavi di ricerca più usate per arrivare al nostro sito (escluse "Quinto Postulato" e simili) sono state "Monica Fontanelli", "Sara Tommasi bancomat" e "Mattia Calise gay".
Da domani si inizia con il 2012 (ho un arretrato di decine di link, più la rubrica Designati), con la speranza di colmare le due cose che più sono mancate quest'anno: costanza e discussioni. Spero che gli altri blogger del Quinto Postulato concordino con me che questo blog debba crescere ogni anno di più, diventando un punto di riferimento per i nostri lettori e anche per noi.
Auguri al Quinto Postulato!
Da acqua ad acqua
Per la serie “le grandi inchieste del quinto postulato”, volevo segnalare una notizia che mi ha colpito recentemente. Nell’era dell’informazione post 11 settembre 2001, tante volte e su svariati argomenti ciascuno finisce per credere a chi gli è più simpatico (fatto quotidiano o il giornale, tg1 o tg3 ma anche informazione standard o alternativa ed infine, genericamente, internet). Ciò accade sia a riguardo di controversie politiche o di attualità ma spesso anche a proposito di questioni pratiche. La questione pratica che mi interessa è quella dell’acqua potabile.
C’è chi dice che sia sempre meglio comperarla in bottiglia, per sapore e salubrità. Chi sostiene il contrario perché l’acqua in bottiglia è meno controllata. Chi, invece, è per quella in bottiglia ma solo di vetro perché la plastica rilascia particelle nocive se esposta al sole. Altri che sono fan dell’acqua del rubinetto “perché in bottiglia è un inutile spreco” ed infine chi, nel mezzo, usa acqua dell’acquedotto pubblico ma la depura attraverso filtraggi fai da te. Io, per natura, sono uno da informazione standard e, conseguentemente, da acqua del rubinetto. Tuttavia recentemente, mi sono fatto convincere all’acquisto di una delle tante brocche filtranti: l’acqua di casa mia è molto dura e si spera così di ridurre il quantitativo di calcare quotidianamente ingerito.
Però da allora, quale uomo di informazione standard, una paura fa qualche volta capolino: scoprire, un giorno, che i filtri in cui l’acqua che bevo passa tutti i giorni trattengono sì le sostanze indesiderate ma rilasciandone altre molto più pericolose. Chi ne certifica l’effettiva non-nocività? L’acqua di un acquedotto è in qualche modo controllata, ma questi filtri? Ebbene, l’altro giorno esce notizia di un’indagine della procura di Torino proprio su questo argomento. E l’accusa è che l’uso di tali filtri facciano diventare l’acqua potabile che li attraversa dannosa per l’organismo. Vedremo cosa ne verrà fuori.
Una precisazione però va fatta: l’indagine è nata in seguito ad una denuncia presentata da Mineracqua una società nata per tutelare le aziende produttrici di acque minerali e controllata dalle stesse aziende. Il sospetto che la denuncia sia stata mossa non soltanto da scopi filantropici ma anche da qualche venale motivo di interesse viene facile..
L'ultima scommessa di Cristiano Doni
Dopo il periodo intenso dedicato alla prima parte del campionato dove quest’anno più di prima in cartello era presente letteralmente una partita al giorno, il periodo natalizio per un amante del calcio, d’abitudine, è scandito dalle notizie del mercato di riparazione. Quest’anno, però,il natale del calcio ha un suono diverso: sotto l’albero per ora niente giocatori di grido o bomber d’oltreconfine ma un’indagine sulle scommesse che coinvolge i volti di calciatori in attività di serie A e serie minori al pari di vecchie glorie persino della nazionale.
L’indagine farà il suo corso e probabilmente tutto l’insabbiabile verrà insabbiato come ultimamente accade in sede di giustizia sportiva (vedi inchieste su calcio scommesse precedenti, su doping e – in parte anche – l’inchiesta calciopoli). Quello su cui vorrei soffermarmi è la figura di Cristiano Doni giocatore, o più probabilmente ormai ex giocatore (ha 38 anni e un squalifica di tre anni sulle spalle con situazione aggravatasi negli ultimi giorni), di lunga militanza nelle fila dell’Atalanta e più breve in Samp, Modena Brescia, Bologna e Maiorca, coinvolto in prima persona nelle indagini.
Doni è stato uno dei migliori giocatori della serie A degli ultimi dieci anni anche se ha raccolto poco rispetto a quanto poteva promettere il suo talento. Tecnico, col fiuto del gol e bello da vedere, Doni avrebbe meritato grandi palcoscenici ed il 2002 sembrava l’anno del grande salto: dopo tre grandi stagioni all’Atalanta viene convocato – da titolare – in Nazionale per i mondiali di Corea e Giappone dove però non incide e la carriera non decolla. Un anno dopo va a Genova dove rimane due stagioni e poi a Maiorca per poi tornare a Bergamo. La seconda esperienza a Bergamo comincia a 33 anni: a svernare nell’unico posto dove abbia davvero inciso, come grande promessa non mantenuta, si penserebbe. Qui, però, qualcosa in lui si risveglia: torna il leader e l’uomo decisivo che era stato fino a quattro anni prima e inanella cinque stagioni per lui esaltanti. “Sono arrivato alla conclusione che per me questa è una maglia davvero speciale, quasi magica; forse la potrei scherzosamente avvicinare al costume che trasformava Clark Kent in Superman. Ogni volta che la indosso sento una forza e un’energia che mi permette di fare cose che altrimenti non riuscirei mai a fare”, dichiara, e l’amore è reciproco tanto che Bergamo lo fa cittadino onorario nel 2008 e lui diventa - da capitano – il miglior goleador della storia dell’Atalanta.
Doni venne inquisito già nell’agosto 2000 con l’accusa di essersi venduto una partita di coppa Italia. Viene assolto e da allora esulta ad ogni gol alzando la testa con una mano a sostegno, si dice per ribadire un concetto esternato attraverso una dichiarazione durante il burrascoso periodo del processo: “ne uscirò a testa alta”. Nel giugno 2011, nell’inchiesta “last bet” viene però di nuovo coinvolto in indagini legate alla compravendita di partite e viene squalificato per tre anni e sei mesi. Gli elementi a suo carico sono pesanti: l’unica attenuante umana ma non sportiva è che, a quanto sembra, lui le partite dell’Atalanta le comprava sempre per vincere e per andare in Serie A.
A questo punto accade l’impensabile: squalificato, indagato e sotto costante controllo, lui imperterrito continua a lavorare sottobanco alle losche trame della compravendita di partite. Sapendo di essere intercettato, sbeffeggia gli investigatori citando Fantozzi e “l’accento svedese”, scavandosi da solo una fossa non soltanto sportiva. Se nella carriera calcistica aveva forse raccolto poco, sotto il profilo del rapporto con i tifosi aveva avuto tutto: una piazza pronta a ricordarlo per decenni a venire e una città che ne aveva fatto uno dei suoi personaggi più rappresentativi. Di tutto ciò, quando Doni si sveglierà dall’incubo che sta vivendo, nessuno sa che cosa sarà rimasto.
mercoledì 28 dicembre 2011
ELEKTRA
Dovessi parlare di una delle esperienze estetiche più sconvolgenti della mia vita vi parlerei di questa opera di Richard Strauss, Elektra, datata 1909, la quale presenta in germe tutte le rivoluzioni musicali del Novecento.
Il libretto di Hugo von Hofmannsthal è un capolavoro poetico dotato di una forza distruttiva. La trama è nota. Elettra è la figlia di Agamennone, il condottiero greco che al ritorno da Troia è stato ucciso dalla moglie Clitemnestra e dal suo amante, Egisto. La ragazza cela un attaccamento morboso al padre morto e organizza l'uccisione della madre per mano del fratello, Oreste, allontanato da Clitemnestra, che lo teme.
Insomma questa volta il punto non risiede nell'originalità della trama, pur dotata di una carica archetipica senza eguali, risalente agli albori della cultura occidentale: la storia è infatti una delle ultime manifestazioni in Grecia di una cultura matriarcale, femminile, che sarebbe poi stata soppiantata dall'egemonia del punto di vista maschile. No. Questa volta la rivoluzione risiede nella musica e nel menefreghismo dei due autori verso il loro pubblico borghese: basta con valori pacificanti, musichette fischiettabili ed omaggi ad una cultura ormai superata. Primo fatto: l'opera è breve, un'oretta e mezzo, in un atto unico (il taglio cinematografico si accentua sempre di più). Secondo fatto: l'opera è moderna perchè il libretto è sensibilissimo alla nuova cultura psicoanalitica nata da poco e pieno zeppo di riferimenti. Terzo fatto: l'opera è quasi tutta al femminile (a parte una partitura caricaturale affidata ad Egisto e un canto banale per Oreste). Cadono perciò tutte le convenzioni: non c'è la storia d'amore, non c'è l'afflato religioso più o meno autentico, non c'è (ma c'erano già state anticipazioni importanti di questo) mai interruzione alla musica, che somiglia sempre più ad una colonna sonora.
Qualche esempio di ciò che ho scritto sopra. Crisostemis, la passionale sorella di Elettra, è una nevrotica repressa a cui non importa nulla della vendetta; teme la madre e desidera solo poter uscire dal palazzo e vivere la sua vita sessuale. In una scena Elettra tenta di sedurla per convincerla a darle una mano (?!). Clitemnestra è un'isterica in preda a manie di persecuzione e sensi di colpa per l'omicidio del marito, pronta a fare sacrifici umani per riuscire a tornare a dormire. Il duettone con la figlia che occupa la parte centrale dell'opera è un momento scioccante: per tutto il dialogo Elettra si mostra conciliante con la madre, sembra quasi riproporsi in alcuni istanti un clima di pacifica convivenza famigliare. Alla fine Elettra sbotta e le urla contro tutto il suo odio: qui la musica raggiunge livelli di violenza inauditi.
Ma al di là di questi fatti superficiali, la vera straordinarietà dell'opera risiede nel personaggio stesso di Elettra. La protagonista non abbandona MAI il palco ed è costretta a stare quasi sempre su un registro alto, acuto, a rendere la sua instabilità psicologica. E' sempre avvolta da masse di musica enormi, quindi si sbatte tutto il tempo per farsi sentire. La musica stessa è un sorta di anticipazione del metal: mai calma, sempre agitata, sempre mossa, casinista a livelli parossistici: trombe, tromboni, piatti, corni e chi più ne ha più ne metta.
Il mito originario è stato adattato a fini operistici. Oreste torna, Elettra vede in lui la possibilità concreta di vendicarsi dopo aver considerato l'idea di farlo da sola. Il momento dell'incontro tra i due è commovente. Dopo che la vendetta è compiuta, Elettra e Crisostemis sono convinte che la loro vita sotto la protezione di Oreste cambierà. Ma Oreste è il primo esponente di una cultura maschile, dove l'opinione della donna non conta nulla: la vendetta non sembra la ragione del suo ritorno, nè sembra interessargli la sorte delle sorelle. Elettra si lascia andare ad una folle danza di gioia per il palazzo. Ma la sua ragione di vita, anche a livello teatrale, non c'è più: perciò cade a terra, morta. La musica della danza di Elettra è la prima violazione consapevole di tutte le regole, da risultare quasi fastidiosa. Dal minuto 6 in poi la potete trovare in questo video (qui la Rysanek si dimostra essere la migliore Elektra di tutti i tempi).
Dovremo aspettare almeno Berg, quasi vent'anni dopo, per avere simili rivoluzioni a livello di musica operistica.
domenica 25 dicembre 2011
Natale 2011
Aggiungo una scusa per la scarsissima produzione post-ale di questo ultimo mese: prometto che l'anno nuovo porterà una ventata di freschezza blogghifera!!
venerdì 23 dicembre 2011
Autocritica
Stimolato da un commento anonimo ad uno dei miei post sul governo Monti ho deciso di rispondere con un intero post. Ho riflettuto a lungo.
Riassunto: alla caduta di Berlusconi ho intervallato istanti di giubilo a istanti di perplessità. Avevo anche scritto che avrei atteso il primo operato di Monti prima di parlare. Sull'onda dell'ottimismo mi sono scagliato contro coloro che avevano solo da ridire sulle aule del potere, non godendosi l'istante di positività. A distanza di tempo è arrivato un commento anonimo che criticava la mia posizione. Ebbene ringrazio l'autore del commento. Eviterò di cadere nell'errore di fare un'analisi formale del commento, che si presta ad attacchi tanto facili da risultare scontati ("Risparmiaci la solita rispostina, cancella pure questo commento, non ci farai tacere!") Ho deciso di cogliere il senso più intimo del commento stesso, vale a dire "non ci siamo".
Ebbene NON CI SIAMO. Sapete bene quanto io abbia sempre rigettato un andare "contro" a tutti i costi, ritenendo le critiche generalizzate al potere simili ad alcuni discutibili post su Facebook, tramite i quali le persone possono ritenersi impegnate politicamente senza fare sforzi. Ma forte di questo posso consentirmi di lasciarmi andare ancora una volta.
Uno di quelli che era, a mio avviso, uno dei miei post più belli è passato sotto silenzio: parlo del post sulla parola proletariato. Non mi sorprende, dal momento che il lettore medio di questo blog non appartiene a quello strato sociale e quindi non percepisce a fondo i significati sottesi alla parola. Il punto sta tutto in questo: la maggior parte delle critiche che si possono leggere su certa "macelleria sociale" hanno un sapore astratto, sono vissute con quella sorta di sereno distacco di chi sa che in fondo non ne verrà colpito, mancano, insomma, di passione. Il distacco si nota dal tono pacato, sempre rispettoso, sempre mai sopra le righe. Per questo ho apprezzato da morire, seppur con qualche dubbio sulla forma sintattica da "mania del complotto", il commento anonimo al mio post. Ho atteso prima di rispondere per poter elaborare una risposta costruttiva: è vero, Monti non è il salvatore della patria. Ho sbagliato ad abbandonarmi ad eccessive manifestazioni di giubilo. Ma vorrei ricordare che comunque avevo lasciato qualche spiraglio di perplessità.
La differenza tra me e chi ha scritto il commento risiede nella fiducia che le cose possano cambiare. Che poi le soluzioni non debbano venire dalle aule del potere può darsi, ma l'atteggiamento nichilistico che appartiene a quel tipo di idee non mi appartiene del tutto.
O forse sì? Ultimamente mi sono ritrovato a pensare che la sfiducia che mi prenderà quando sarò dentro quell'urna sarà grande... Se non esistono nostri rappresentanti a Roma qual'è la soluzione? Qual'è? Osservate lo stile di argomentazione dei miei post: si tratti dei massimi sistemi o di una tavoletta del cesso, seppur infarcendo tutto di infiniti periodi incomprensibili, io cerco sempre di pervenire a due fatti: 1) la risposta alla domanda "perchè?" 2) la ricerca delle soluzioni. Credo che anche questa volta il secondo punto rimarrà senza svolgimento.
lunedì 5 dicembre 2011
Io Ibra, tu Ibra, egli Ibra
Mi sentivo un po' da meno in tutto questo e pertanto ho deciso anch'io di cimentarmi in un qualcosa che mi avvicinasse alle tematiche culturali che ormai possono dirsi proprie di questo blog. Ho deciso, quindi, di intraprendere la recensione di un'opera letteraria moderna (non preoccupatevi, non apro un ciclo, è un eventio unico): il libro a cui ho dedicato buona parte del weekend e di cui voglio scrivere è il quasi best seller Io, Ibra. Autore Zlatan Ibrahimovic (ma in realtà l'ha scritto tal David Lagercrantz).
A meno che il lettore non sia un assoluto cultore della persona fisica di Ibra, l'interesse di un normale appassionato di calcio verso i contenuti di questo libro (come per i tanti altri scritti dai suoi colleghi prima di lui), si focalizza nella descrizione di quelle dinamiche presenti all'interno del mondo del calcio che normalmente sono celate agli occhi delle telecamere ed ai taccuini dei cronisti. Cioè di tutto quanto accade, come si suol dire, all'interno dello spogliatoio. In altre parole, la biografia di un calciatore deve servire da finestra su quella parte di mondo che normalmente è racchiusa dietro silenzi stampa e frasi di rito e, ciò che le si chiede, è di raccontare quanto accade dietro la facciata che club e giocatori quasi sempre riescono a mantenere..
Il libro, alla sua uscita, aveva fatto parlare di sé in quanto, già fin dalle prime pagine, Ibra si scaglia contro Guardiola, allenatore del Barcellona, descrivendolo testualmente come "coniglio", "senza palle", "codardo". La voce narrante del nostro eroe vichingo ci racconta di episodi in cui si è trovato, spinto da un'ira incontenibile, ad apostrofare in malo modo e davanti a tutti i suoi compagni il suo mister di Barcellona, senza che questi avesse il coraggio di reagire.
Le premesse quindi sono buone: Ibra ci offre racconti inediti e chiavi di lettura nuove su quello che è stato il fallimento della sua esperienza spagnola ed il peggior affare (in termini di milioni di euro ma non certo di gol) del Barcellona dell'ultimo ventennio. Purtroppo però, in poco tempo, la prosa di Ibra perde di incisività e le pagine scorrono senza che gran che si aggiunga a ciò che chiunque abbia seguito il calcio negli ultimi dieci anni già non sapesse.
Tutto è scritto in prima persona ed il principale elemento che emerge è la forte personalità del protagonista. Si direbbe quasi che tutto il mondo sia Ibra-centrico cosicchè anche i personaggi che si assecondano interagendo col protagonista hanno tratti sfumati perchè quello che conta è far passare il motto: Ibra è venuto dal Bronx di Malmoe ed è un vincente. Gli è sempre importato solo di se stesso e questo gli ha permesso di diventare il numero uno.
Quello che rimane, come ho detto, è qualche sfumatura: le liti con Mihajlovic e Vieira (ma quelle le abbiamo viste tutti in tv); quella con Onyewu (non c'erano le tv ma ce la siamo immaginati!); la grande amicizia con Maxwell; Messi che sembra uno scolaretto, come tutti al Barca; la stima per Cassano e Robino; le invidie di Van der Vaart ai tempi dell'Ajax; le notti in camera ad ascoltare i racconti orgiastici del Mutu post-Chelsea. Poi gli allenatori: di Guardiola già detto; Capello che fa gelare il sangue appena ti passa affianco ma che è un grande; Mourinho un amico; Mancini un fighetto; Van Gaal un rompipalle; Allegri: sembra bravo. E poi, ancora, Moggi che con il suo sigaro inonda la stanza e piange in piena crisi da calciopoli; Galliani artista della trattativa; Raiola ciccione, mafioso ed amico.
Mi aspettavo un po' di più da questo libro: a tratti si ha l'impressione che D.L. (il vero autore) abbia preso molto più spunto dalle immagini tv che da racconti del protagonista. 300 delle 400 pagine potevano essere scritte da chiunque di noi sulla base di quanto visto in tv e da quello che si trova su Wikipedia. Peccato, visto il personaggio, poteva essere divertente!
venerdì 2 dicembre 2011
LA BOHEME
Riprendo in mano per un attimo la mia vecchia rubrica in un momento cosi' sereno. Perche' proprio questa notissima opera italiana, a discapito delle ignote di cui scrivo di solito? Perche' a partire dal 17 dicembre fino a febbraio sara' messa in scena al vostro splendido Teatro Carlo Felice.
Opera ideale per iniziare, in italiano, del nostro grandissimo Puccini, e' un'occasione per avvicinarsi all'opera in maniera soft e nel modo piu' canonico. Uscita per la prima volta nel 1896, quest'opera non ha mai abbandonato le scene di tutto il mondo: molto apprezzata in America, essa e' un classico per gli appassionati di opera ma non solo, dati i pezzi notissimi entrati ormai nell'immaginario collettivo. Portatrice dei valori di un mondo europeo ormai dimenticato, non e' possibile vedere o ascoltare quest'opera e poi non ripensarci per qualche giorno.
La vicenda e' ambientata nella Parigi dell'Ottocento, dove alcuni artisti (il poeta, Rodolfo, e' uno dei due protagonisti principali) vivono in una squallida mansarda conducendo vita da bohemienne, emarginati dalla societa' e costretti ad arrabattarsi per mangiare e per non pagare l'affitto. Una notte d'inverno, Mimi' entra nella mansarda dei ragazzi e incontra Rodolfo. Qui il poeta la aiuta ad accendere una candela e a cercare una chiave perduta, poi la corteggia appassionatamente ("Che gelida manina"). La ragazza e' povera, disegna fiori di carta da vendere al mercato e si presenta ("Si', mi chiamano Mimi' "). Il duetto d'amore successivo e' uno dei vertici operistici all'italiana e un momento di altissimo coinvolgimento emotivo. Qualche tempo dopo i due escono insieme agli altri artisti: Puccini qui disegna uno splendido spaccato della Parigi povera del tempo, con ragazze che si fanno mantenere per sopravvivere (come Musetta) e dove il piacere di stare insieme e' sempre dipendente dalle difficolta' economiche. Nel terzo atto si vede una situazione stravolta: Rodolfo vuole lasciare Mimi' perche' troppo geloso di lei. Ella non gli crede e solo origliando una conversazione tra Rodolfo e uno dei suoi amici comprende i veri motivi di Rodolfo: Mimi' e' malata (dato il freddo e le terribili condizioni di vita), il ragazzo teme di soffrire troppo e sa che non puo' fare nulla per darle una vita migliore. Un commovente duetto di separazione culmina con il proposito di lasciarsi solo ad inverno finito, per rendere la cosa graduale e stare ancora insieme. Nel quarto atto la separazione e' avvenuta: Mimi' fa la mantenuta come Musetta e Rodolfo finge di non rimpiangerla. A un certo punto arriva la ragazza morente, desiderosa di stare con lui ancora una volta ("Sono andati? Fingevo di dormire"). Continui rimandi musicali ai giorni felici rendono la scena particolarmente straziante. Poco dopo Mimi' muore.
In quest'opera Puccini attua una esaltazione consapevole delle "piccole cose", le uniche alle quali ci si puo' aggrappare nelle avversita' della vita: un dono, il sole, una serata insieme. Innegabile un certo perverso compiacimento a far passare a Mimi' le peggio cose, ponendola in una "bianca cameretta" a ritagliare fiori finti, in preda al freddo e alla fame. In questo momento la tentazione di ironizzare su certa filosofia sottesa alle opere di questo tipo (quella della lacrima facile per capirci) e' fin troppo pressante. Ma superato questo pregiudizio, l'opera e' di una godibilita' incredibile, relativamente breve (si tratta di un paio di ore e un po'), snella nel suo svolgersi. Parigi e' uno sfondo idealizzato, mitico, un luogo vario, multiforme, in cui non e' facile sopravvivere.
Insomma... Se avete qualche soldo da parte andate a Teatro. Io andro' certamente perche' dal vivo non l'ho ancora vista.