venerdì 28 ottobre 2011

Istinti... Istanti...



Sì cari amici...
Si è trattato solo di un istinto, di un istante. Vorrei notaste l'atteggiamento precedente a quello sguardo che ha fatto il giro dell'Europa. La Merkel ha resistito, forte della sua tempra teutonica, fortificata in giovane età ad Amburgo. E' la prima a voltarsi dei due, con uno sguardo scioccato, la testa china come quella di una che finge di non aver sentito, che vorrebbe essere DOVUNQUE ma non lì, non lì... Si sarà vista su una spiaggia caraibica. Sta per tornare con lo sguardo verso la platea, decisa, forte, determinata di fronte all'avversità della domanda, quando Sarkozy si volta a sua volta, lanciando uno sguardo d'intesa, alla quale la forte Angela non può più resistere. Questo di fatto racchiude tutta la comicità della scena, molto più del sorriso del premier francese e delle risate generale, con sangue ungherese, un pò ebreo nelle vene, oggettivamente un pò antipatico, verso il quale si concentra tutta la critica del berlusconismo di persone come Ferrara.

Non scenderò nel merito di fastidi, indignazioni o simili. Non mi metterò a ricordare la Storia, le eventuali mancanze culturali, economiche, politiche e sociali dei nostri amichetti di ventura in questa barchetta di carta.

Mi limiterò a ricordare che il nostro premier gioca, ironizza e scherza da quando, qualche tempo fa, ha scoperto le meraviglie tecnologiche della telecamera (a quanto pare lo ha fatto anche oggi, con una divertente battuta autoironica narratagli da Putin). Io li perdonerei fossi in noi.

Honoring Ballets

Non si può non dedicare un post al Ballets che ha avuto il suo momento (anche piuttosto lungo) di celebrità su Rai 3 l'altra sera.. Grande performance: e speriamo sia la prima di una lunga serie! Ecco il video: minuto 01:16:30..


lunedì 17 ottobre 2011

Nuova rubrica: un racconto per evadere

Carissimi...
Mi è stato dato il via libera per la scrittura di una nuova rubrica. Stese le linee generali, inizierò a pubblicare un racconto a puntate dal titolo "Flessibilità": lo scopo è evadere dalla situazione odierna con una storia di fantapolitica che ironizzi e critichi letterariamente lo stato attuale delle cose.

Iniziate a immaginare un mondo dove chi vi governa è inadatto a farlo spesso e volentieri. Ma che non dura e che non può durare. L'idea stessa di governo diventa flessibile, in cui ciò che è vero o giusto varia con un ritmo vertiginoso. Immaginate un mondo dominato dalla morte violenta, quotidianamente, in ogni luogo, in cui ciò che accade può cambiare il giorno successivo. Un mondo grottesco abbandonato dal buonsenso.

sabato 15 ottobre 2011

Voleva essere una provocazione, sta diventando un racconto

Carissimi...
Volevo scrivere un post provocatorio, inventandomi un sistema politico futuristico per criticare quello odierno. Credo di averci preso un pò la mano... Mi sono reso conto che è una sorta di base per un racconto di fantapolitica che forse pubblicherò a puntate. Per questo penso che sia impubblicabile in questa forma iniziale, perchè soggetto a rischiosissime interpretazioni e travisamenti. Aspetto l'opinione onesta dei miei amici a cui invierò la bozza per avere il permesso di pubblicare questo progetto.

venerdì 14 ottobre 2011

Cazzo...

Chi mi conosce sa che sotto la scorza del cinico argomentatore c'è un tenerello credulone, pieno di ideali, passione e speranza.

Beh oggi il tenerello ha seguito nome dopo nome (inquietandosi per i cognomi che ci sono nel nostro Paese) il dramma in atto alla Camera, dalla cam amorevolmente approntata per l'occasione. Nulla di fatto. Il problema grave è che non si tratta di una vittoria nemmeno per il governo.

Quindi il tenerello ora lo chiudiamo sotto chiave per un altro pò, lasciando spazio di nuovo allo spietato Bolo che conoscete.

Al prossimo voto di fiducia signori. Ce lo aspettiamo a breve in ogni caso.

Attesa...

Tutto il mio razionalismo affettato non può non cedere alla tentazione, anche oggi, di credere che sia la volta buona. Non è una soluzione ad una situazione socialmente, economicamente e politicamente compromessa, ma è un istante di intimo piacere irrazionale, come quando scopri che ti restano ancora due orette per dormire.

Attesa....

giovedì 13 ottobre 2011

Caratteristiche generali del film francese

Cari amici...
Poche righe per preparare qualche post sui film francesi. I nostri vicini cugini hanno un modo tutto loro di fare cinema e lo si vede molto bene... Una sorta di marchio di fabbrica, come il fatto che a Parigi piove sempre o che se in Corsica parli inglese ti guardano come se fossi un uomo di Neanderthal.

Dico subito che a me piacciono. I loro risultati meglio riusciti risiedono per me nelle commedie, in cui si ride di gusto e in modo intelligente (Il tempo delle mele, L'apparenza inganna, Train de vie, 8 donne e un mistero); quasi sempre il risvolto drammatico c'è e contribuisce a dare spessore alla storia.

Ma ciò su cui voglio ironizzare sono alcune tematiche un pò ossessive presenti nel filone drammatico-psicologico. In questi film si tende a dare eccessiva presenza alla tematica sessuale, sempre perversa o comunque deviata. Il film si regge quasi sempre su un numero ridottissimo di attori (sempre bravissimi), che devono sostenere tutta l'impalcatura. I silenzi, le scene senza un dialogo, l'indugio su alcune immagini, la quasi totale assenza di sottofondo musicale, danno una patina di raffinatezza e di intellettualismo che non fa mai male. Spesso le trame sono prive di un filo definito, il finale spesso lascia spiazzati e ci si chiede se il film appena finito di vedere non fosse solo un pretesto per scatenare le brutture psichiche più malate. Un esempio su cui non scriverò post: Betty è un film di Chabrol dei primi anni Novanta. Chabrol è famoso in certi ambienti (come Truffaut), in quanto fondatore di una tendenza, la Nouvelle Vague. Ebbene la trama del film può essere ridotta così: Betty è una donna con dei figli che il marito non le permette di vedere in quanto in lei si sono presentati evidenti segni di ninfomania. Non ricordo lo svolgersi del film (il che può essere significativo) ma ricordo che la sua malattia si è scatenata in seguito alla visione, in un'età imprecisata dell'adolescenza, dello zio che stupra una sua compagna di giochi: il punto non è tanto quello, quanto che lei avrebbe voluto essere al posto della sua amica (?!)

Ragazzi le perplessità vengono. Spero che con qualche post successivo riesca a rendere ancora meglio l'idea. I francesi hanno un gusto tutto particolare, secondo il quale parlare di turbe sessuali e simili conferirebbe una qualche sfumatura di "film impegnato".

Last Night e riflessione sulla fedeltà

Cari amici...
Ultimamente ho visto un film del 2010, una coproduzione franco-statunitense. La recensione dello stesso è più un pretesto per parlare di un certo fenomeno sociale e culturale, la fedeltà.

Il film è Last Night, diretto da tal Massy Tajedin, ignota regista iraniana. E' importante sottolineare il fatto che la produzione è anche francese: in Francia hanno una certa mania morbosa di scavare bene la psicologia, con una patina di raffinatezza. Magari presto o tardi commenterò qualche film che ho visto. Anzi... Lo farò subito dopo questo per farvi capire cosa intendo.

La trama è tanto scontata quanto immortale: Joanna (una sempre più strepitosa Keira Knightley) e Michael (Sam Worthington: mai visto... lo sguardo fisso nel vuoto e un inutile tentativo di interpretazione) sono due giovani sposati da tre anni. Ad una cena di lavoro Jo si ingelosisce di una collega di Michael, Laura (una ugualmente mai vista sensuale Eva Mendes). Dopo una litigata e una notte che denota la freddezza del loro rapporto, Michael deve partire con Laura per lavoro. Jo si ritrova così ad uscire sola al mattino e ad incontrare Alex (Guillame Canet, il solito sorrisone da divo del cinema e poco altro), un ex che non ha mai dimenticato. La giornata muore e si approssima la notte, "l'ultima notte"... I due coniugi sono tentati dal desiderio. Il parallelo delle due situazioni, il calcolo spietato di Laura e la tenerezza di Alex, fanno arrivare il mattino. Il finale che non è un finale è il tocco alla francese del film.

Insomma il film non è brutto, ma non è bello. Peccato che quasi solo la Knightley si salvi. Lo scopo non è raccontare una storia, lo scopo è creare l'attesa nello spettatore che, in modo morbosamente francese, non vede l'ora che si consumi il tradimento.

Alla fine del film la riflessione è immediata: quanto è naturale la fedeltà? La risposta è ovvia: poco. Che sia un fattore culturale è oggettivo. Si tratta di una sorta di contratto sociale supplementare che non si crea tra la società e i suoi componenti, ma tra i due amanti. Per ricollegarmi ai post precedenti sulle istanze meno nobili dell'uomo, è un artificio volto a limitare l'insaziabile ricerca del piacere, eccessivamente animalesco.

Il discorso si applica soprattutto alle coppie giovani. Sono convinto che se esistesse una dimensione alternativa, in cui il senso di colpa e il timore di essere scoperti non sussistessero, molti ne utilizzerebbero la chiave. L'amore c'entra poco o niente: la pulsione sessuale è qualcosa di diverso. Spesso chi tradisce si giustifica estremizzando questa posizione, "Ma io amo te", rivelando un'ipocrisia non trascurabile. Ciò che invece rapisce la persona tradita è il senso di inadeguatezza, inammissibile. Perciò essa ricorre a una serie di idee coinvolgenti il rispetto, l'amore, la dignità, travisando completamente la questione.

Ma se si trattasse solo di questo sarebbe troppo semplice. Alla base di un tradimento non risiede solo la naturale pulsione sessuale generalizzata: si tratta di un fenomeno strano, non trattabile analiticamente, perchè anche la situazione specifica conferisce elementi per la comprensione di ciò che è accaduto.

Un esempio di ciò che ho appena scritto. Coinvolgiamo anche la terza persona per sfumare le cose. Supponendo che sia libera e informata del fatto che la persona con cui consuma sia impegnata, i casi sono due: o conosce il tradito oppure no. Nel secondo la sua moralità viene salvata, perchè di certo tra i tre è colui che se la sta raccontando meno. Nel primo possono invece presentarsi centinaia di situazioni differenti, che abbassano più o meno il suo livello di moralità, a seconda dei casi. Io non avrei problemi a consumare con una persona impegnata che mi piglia bene.

Il tradimento è una cosa ordinaria. La fedeltà molto meno. Proprio per questo il primo è più "naturale" della seconda. Per me "naturale" non significa "più semplice". Significa "meglio rispondente alle esigenze animali dell'uomo", contrapposto alle costruzioni artificiali della società.

Cosa questo significhi nel mondo reale lo lascio a voi.

Parole, parole, parole

Cari amici...
E' proprio vero che se non scrive Lore questo blog va in rovina. Non vediamo l'ora che questa cazzo di laurea finisca.

In queste ore viene naturale farsi alcun domande sullo svolgimento della vita parlamentare (quando c'è). Ieri e oggi un fiume di parole da parte di tutti i vari rappresentanti. Fatemi capire... Lo scopo dovrebbe essere convincere gli altri "onorevoli colleghi" delle proprie tesi? Ma dai! In un contesto come questo le fazioni sono irriducibili e i voti si comprano (e probabilmente è sempre stato così). Convincere la gente a casa? A parte uno sfigato con nulla da fare come me chi vuoi che ascolti? Del resto tutti ascoltano le riduzioni televisive, si concentreranno sullo sbadiglio di Bossi, sulla leccata di Berlusconi a Napolitano, sul fatto che le quasi tutte le opposizioni sono uscite dall'aula. C'è anche da dire che se prendiamo un discorso come quello di ieri di Della Vedova, subito sconfessato da Fini, il capo non si trova, figuriamoci la coda!

Quindi i fatti sono due: discorsi in gran parte incomprensibili e, anche qualora fossero comprensibili, perfettamente inutili ai fini pratici e politici. Forse l'appello di ieri di Casini potrà essere accolto. Ma è un forse denso di dubbio. La perplessità assale: questi sono i meccanismi che regolano la vita parlamentare?!

Rinnovo il mio appello, uno dei miei cavalli di battaglia: la democrazia NON è il migliore dei mondi possibili. Con l'andare avanti dei tempi sta perdendo forza e palesando tutta la sua debolezza. In Italia esistono reti che legano i parlamentari gli uni agli altri: non sono previste prese di coscienza individuali, il voto NON è un fatto personale... I discorsi parlamentari allora si riducono ad un cumulo di parole, usate per colmare il vuoto di una classe politica incompetente.

Io ho smesso, a differenza del passato, di fare previsioni sugli esiti delle fiducie. Quasi un anno fa eravamo allo stesso punto. Io mi sono rotto le balle di scommetterci sopra. Domani vada come vada. Tanto ormai ci ha fottuto comunque. E forse ci è anche piaciuto.

venerdì 7 ottobre 2011

Le formiche della matematica

Ottobre è il mese di degli esami di dottorato in alcune delle università italiane: in particolare lo è per quella di genova ed ancor più in particolare lo è per matematica a genova..

Il lavoro di dottorando o di ricercatore in matematica è un mestiere strano dove talvolta sei costretto a confrontarti con personaggi che sanno fare molto meglio il tuo lavoro e dove purtroppo, in alcuni casi, non c'è buona volontà che tenga perchè tu al loro livello non ci arriverai neanche in un'altra vita anche quando avessi speso tutta la attuale vita a studiare.

Questa strana premessa per linkare (per quei pochi che possono essere interessati) il testo di un discorso preso dal blog di Terence Tao che - per chi non lo sapesse - è stato una delle ultime medaglie Fields (un analogo del Nobel ma solo per matematici) ed è attualmente la maggior celebrità tra i matematici moderni. Il testo descrive il punto di vista di Tao su quello che è il ruolo dei matematici minori i quali sotto un certo punto di vista raccattano le briciole del pane sfornato da grandi uomini come Tao.

L'universo ritratto da Tao è quello di un grande quadro di insieme dove anche il lavoro delle più umili formiche serve a far progredire la scienza anche solo per il fatto che magari esse - con la loro attività - possono scovare e fare emergere problemi che erano sfuggiti agli occhi dei grandi uomini.

Il testo è un po' tecnico e non interesserà a tutti ma siccome questo blog ha salde radici (e utenza) nel dipartimento, lo posto, anche solo come augurio a chi il mestiere di ricercatore lo comincerà dopo ottobre, appunto, o a chi invece ha da poco cominciato l'anno accademico.

Bisogna essere un genio per fare matematica?

È meglio guardarsi da nozioni come genio e ispirazione; sono una specie di bacchetta magica e dovrebbero essere usate con cautela da chiunque voglia vedere le cose con chiarezza. (José Ortega y Gasset, “Sul romanzo”)

Bisogna essere un genio per fare matematica?

La risposta è un NO enfatico. Per dare dei contributi buoni ed utili alla matematica, uno deve lavorare duramente, conoscere bene un settore, conoscere altri settori e altri strumenti, fare domande, parlare con altri matematici e pensare al "quadro d'insieme". E sì, sono anche richieste una ragionevole quantità di intelligenza, pazienza e maturità . Ma non serve una qualche sorta di magico "gene del genio" che spontaneamente generi ex nihilo profonde intuizioni, soluzioni inaspettate ai problemi, o altre abilità soprannaturali.

L'immagine popolare del genio solitario (e forse anche un po' matto), che ignora i lavori precedenti e la conoscenza convenzionale e riesce, con qualche inesplicabile ispirazione (potenziata, forse, da un tocco a piacere di sofferenza ) ad inventarsi un'originale soluzione mozzafiato ad un problema che aveva messo in difficoltà tutti gli esperti, è un'immagine affascinante e romantica, ma anche parecchio sbagliata, almeno nel mondo della matematica moderna. Ci sono ovviamente risultati e intuizioni spettacolari, profondi e notevoli in questo campo, ma sono il faticoso raggiungimento finale di anni, decenni, o anche secoli di costante lavoro e progresso compiuto da molti grandi e bravi matematici; il progresso da uno stadio di comprensione al successivo può essere terribilmente non banale, e spesso piuttosto inaspettato, ma tuttavia si costruisce sulla base dei lavori precedenti, piuttosto che ripartendo totalmento da zero. (Questo è per esempio il caso del lavoro di Wiles sull'Ultimo teorema di Fermat, o di Perelman sulla Congettura di Poincaré.)

In effetti, trovo che la realtà della ricerca matematica attuale, in cui i progressi sono ottenuti naturalmente e in modo cumulativo come conseguenza di un duro lavoro, diretto dall'intuizione, dagli studi precedenti e da un pizzico di fortuna, sia molto più soddisfacente dell'immagine romantica che avevo da studente, di una matematica che progrediva principalmente grazie alla mistica ispirazione di una rara stirpe di persone "geniali". Questo“ culto del genio” comporta infatti non pochi problemi, poiché nessuno è capace di produrre queste (molto rare) ispirazioni su base anche approssimativamente regolare, e con con un'affidabile e consistente correttezza. (Se qualcuno mostra di farlo, sono del parere di rimanere molto scettico sulle loro affermazioni.) Lo sforzo di provare a comportarsi in questo modo impossibile può portare alcune persone a diventare troppo ossessionate con i "grandi problemi" e le "grandi teorie", altri a perdere quel sano scetticismo nel proprio lavoro o nei loro strumenti, e altri ancora a diventare troppo scoraggiati per continuare a fare matematica. Inoltre, attribuire il successo al talento innato (che è al di là del proprio controllo) piuttosto che ai propri sforzi, alla pianificazione, all'istruzione (che invece sono in qualche modo controllabili) può portare ad altri problemi ancora.

Certamente, anche se uno lascia perdere la nozione di genio, sarà ancora possibile che in un dato istante di tempo alcuni matematici siano più veloci, con maggiore esperienza, maggiori conoscenze, più efficienti, più attenti, o più creativi di altri. Questo non implica, tuttavia, che soltanto i "migliori" matematici debbano fare matematica; questo è l'errore comune di scambiare il vantaggio assoluto per il vantaggio comparato. Ci sono talmente tanti settori di ricerca matematica interessanti e problemi da risolvere, molto più di quelli che possono essere trattati in dettaglio dai "migliori" matematici, e qualche volta l'insieme degli strumenti e delle idee che possiedi ti permetterà di trovare qualche cosa che altri bravi matematici non hanno visto, anche perché anche i più grandi matematici avranno pure loro delle debolezze in alcuni aspetti della ricerca matematica. Fino a che riesci ad imparare, hai delle motivazioni, e abbastanza talento, ci saranno sempre alcune parti della matematica in cui potrai dare un solido e utile contributo. Potrebbe non essere la parte più "glamour" della matematica, ma in pratica questo porta a una cosa abbastanza sana; in molti casi viene fuori che i banali aspetti pratici di un argomento sono molto più importante di qualsiasi sofisticata applicazione. Inoltre, è anche necessario "fare pratica" in qualche parte non-alla-moda di un certo settore prima di poter avere la possibilità di confrontarsi con un famoso problema; date un'occhiata alle prime pubblicazioni di uno qualsiasi dei grandi matematici di oggi per vedere cosa voglio dire.

In alcuni casi, un'abbondanza di talento grezzo può finire (un po' perversamente) per essere in effetti dannoso per lo sviluppo matematico a lungo termine di una persona; se le soluzioni dei problemi si trovano troppo facilmente, per esempio, uno potrebbe non mettere abbastanza energia nel lavorare seriamente, fare domande stupide, o allargare il proprio orizzonte, e quindi potrebbe eventualmente portare ad un ristagno delle proprie abilità. Inoltre se uno è abituato a un successo facile, potrebbe non sviluppare la pazienza necessaria per trattare problemi veramente difficili. Il talento è importante, certamente; ma come uno lo sviluppa e lo nutre lo è ancora di più.

È anche utile ricordare che la matematica professionale non è uno sport (in opposizione alle gare matematiche). Lo scopo in matematica non è di ottenere il piazzamento migliore, il "punteggio" più alto, o il maggior numero di premi e riconoscimenti; è invece quello di aumentare la comprensione della matematica (sia per sé stessi, che per i propri colleghi e per gli studenti), e contibuire al suo sviluppo e alle applicazioni. Per questi compiti, la matematica ha bisogno di tutte le persone in gamba che si riescono a trovare.

Vi suggerisco infine di leggere l'articolo “How to be a genius“, di David Dobbs, New Scientist, 15 September 2006. [Ringrazio Samir Chomsky per avermelo segnalato.]

(Tradotto per gentile concessione dell'autore, qui il post originale in inglese)

iPhone: rivoluzione culturale?!

Caro Ballets...
Fino all'altra mattina non sapevo chi fosse Steve Jobs. Il rispetto per la morte di una persona più giovane di mio padre non mi impedisce di dire la mia...

Se fosse stato Lore il primo a scagliarsi contro il tuo post avrebbe perso almeno due punti della famosa classifica sui veri finti intellettuali. Doson ha acceso la miccia scrivendo quel che avrei scritto io.

La cosa che più mi ha irritato della tua arringa è stato il riferimento alla Cina. Quando mi è capitato di vedere in giro persone cinesi o asiatiche in genere con lo sguardo fisso a muovere le dita su uno schermo mi sono ritrovato a pensare che gradualmente perderemo la grande conquista evolutiva del pollice opponibile. In Cina evidentemente (come anche in paesi come la Malesia) esiste un anacronistico senso di inferiorità verso l'Occidente e il suo stile di vita: avere l'iPhone è uno dei tanti modi per credere di colmarlo. Una cultura inconsapevole del lavoro, dove è presente una massificazione scandalosamente impersonale e in cui il punto d'arrivo è avere l'iPhone non desta in me alcun tipo di ammirazione. La dote di questi paesi è l'aver compreso immediatamente (spesso molto più velocemente che da noi, va detto) le potenzialità della tecnologia e della globalizzazione, ma senza avere il sostrato necessario a supportarla, creando questi ibridi pieni di contraddizioni e di ombre difficilmente svelabili.

Io non critico Steve Jobs come persona (anche se il suo discorso a Stanford ha un contenuto di facile presa) o il fatto che guadagnasse dalle sue invenzioni, ma il modo in cui ha indotto le persone a pensare ciò che pensi tu. Quindi attenzione... Non mi turba Steve Jobs, la Cina o l'iPhone in sè: mi turba vedere la facilità con cui l'essere umano cede alla tentazione di avere cose inutili, pensando di averne bisogno o che la propria vita sia più semplice, più "intuitiva" per citarti, ad averle.

Voglio dire Ballets... Io ritengo l'invenzione della lavatrice una vera rivoluzione culturale, un passo importante per l'emancipazione femminile. Pensa a come sarebbe effettivamente diversa la nostra vita senza il frigorifero. L'automobile e il treno sono altri strumenti essenziali nella nostra cultura (nessuno potrebbe lavorare a più di un chilometro da casa). Più in generale i trasporti veloci (l'aereo) hanno rivoluzionato la percezione del mondo precedente. Insomma... Nei libri di storia queste cose saranno ricordate, NON l'iPhone!!! L'iPhone è una variante del telefonino, indubbiamente comodo per comunicare cambi dell'ultim'ora, con in più un'aggiunta di cazzate varie. Altra rivoluzione totale (del cui potenziale non siamo ancora del tutto consapevoli a questo stadio) è Internet, o il computer a livello scientifico, senza il quale non avremmo il piacere di avere queste conversazioni a distanza.

L'aver convinto le persone che un oggetto simile abbia qualcosa da trasmettere, a parte la sorpresa iniziale di fronte a certe cosette carine, quasi fossimo uomini primitivi davanti alla magia del fuoco, non è un merito, è un fatto di cui posso liberamente irritarmi.

Non credo necessario sottolineare ulteriormente ciò che è stato detto da Lore e da Doson.

giovedì 6 ottobre 2011

Think different

«Stay hungry, stay foolish»


Oggi per me è una giornata triste, è morto Steve Jobs, uno dei personaggi più visionari e rivoluzionari dei nostri anni.

Non solo per le creazioni tecnologiche, ma soprattutto perché, nel bene e nel male, ha imposto una nuova filosofia e nuovi modi di vivere lo sviluppo sfrenato dell'informatica e dei nuovi mezzi di comunicazione.

Persone come Steve Jobs cambiano il mondo.

A me piaceva la sua determinazione nel credere nelle sue creazioni, l'entusiasmo con cui le creava, e la semplicità nel vestire e nel parlare. Mai altezzoso, nonostante fosse uno dei personaggi più potenti al mondo.
La semplicità e lo stile, il minimalismo, l'attenzione ai particolari, ai colori e ai materiali che hanno contraddistinto le  sue "invenzioni", iPod, iPhone, iPad e soprattutto il Mac.

Non sarò originale, ma non c'è modo migliore per ricordarlo che pubblicare il suo discorso più famoso, agli studenti laureandi dell'università di Stanford il 12 giugno del 2005, quindici minuti in cui c'è davvero tutto.



Grazie, Steve.

Evviva Delrio e l'Emilia Romagna


Cari amici...
In queste ore si sta facendo un gran parlare dell'elezione al vertice dell'Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) del sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio. Si è vista la sua elezione come una spaccatura insanabile tra Nord e Sud, dato che il candidato appoggiato dalla segreteria del PD era il sindaco di Bari, Michele Emiliano.

Io davvero non comprendo questi ragionamenti. Bisogna spalmare "equamente" le cariche istituzionali, indipendentemente dal merito o dall'esperienza, per evitare di cadere nel solito mito del Sud abbandonato? Roba da matti... Se non posso dire di conoscere personalmente Delrio, posso però dire di conoscere molto da vicino il suo operato nel capoluogo della mia provincia. Io ho visto nell'elezione un pò a sorpresa di Delrio proprio un tentativo, seppur minuscolo, di emanciparsi da una politica che vede nelle direttive di una segreteria di partito tutto il suo universo.

Teniamo poi conto che, parlando di Delrio, non parliamo di un leghista fondamentalista che non terrebbe conto delle esigenze dei comuni del Meridione. Come sottolinea nel suo discorso inaugurale, i problemi, oggi, che colpiscono i comuni del Sud sono gli stessi che colpiscono i comuni del Nord (l'assenza di fondi per esempio). Vi basti sapere che (sempre per parlare di esperienze dirette) le Regioni non hanno più il denaro per pagare le piccole manutenzioni e le riparazioni agli apparecchi acustici alle persone in difficoltà (lasciate stare me, parlo dell'anziano con la minima che ho visto io che, preoccupato, chiede informazioni in merito; quando si tratta di 100 euro di ricevitore o 500 di circuito l'ansia può venire). Quindi questo populismo proprio del Mezzogiorno, non tanto diverso a ben pensarci (ma forse meno ipocrita) da certa propaganda leghista, non ha ragione di essere in una situazione come questa.

Concludo. Teniam inoltre conto del fatto che il Presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, è pure Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni. Errani e Delrio si conoscono bene. Un concerto e una collaborazione fruttosa possono generarsi in una situazione come questa, a beneficio di tutti.

Inutile dire che stiamo parlando di persone irreprensibili. Io posso soprattutto parlare di Delrio: a differenza di certi sindaci o assessori della montagna, mai una scorrettezza, mai che si potesse dire qualcosa, mai una parola fuori posto (non è un caso che qui l'opposizione del PDL attecchisca così poco, tradizioni a parte). E' il primo sindaco di Reggio a non aver mai militato nel PCI. Non stiamo parlando di uno che mangia i bambini (come del resto quasi nessuno nel PD). Insomma io sono contento di avere una persona di cui conosco così bene l'operato in una posizione importante.

Evviva Delrio ed evviva l'Emilia (va beh, va beh... anche la Romagna)!

martedì 4 ottobre 2011

Commento al post di Doson "Il Fatto e l'Unige"

Cari amici...
E' inutile, ironie precedenti a parte, qui non si riesce più a commentare. Se non altro io posso scrivere post al posto (...) dei commenti.

Doson forse ti sorprenderà trovarmi spaventosamente d'accordo con te, parola per parola, e con quasi tutti i commenti da te riportati sulla vicenda. Ora... Io sono il primo che si indigna verso un paese come il nostro che punta così poco sulle potenzialità della ricerca. E tutti conoscete il mio atteggiamento verso coloro che vedono nell'estero il paese dei balocchi: sto pagando e pagherò con ogni probabilità sulla mia pelle con le mie idee. Ma questa mi sembra la storia meno adatta per consentire ad una testata che stimo come "Il Fatto" di parlare della questione.

La sensazione è che il martire di cui hai parlato si sia sentito defraudato dei suoi privilegi (forse non tutti meritati, sentite le testimonianze) e che non avrebbe esitato ad utilizzare ogni mezzo, magari illecito, per mantenerli. Io tendo a essere poco pietoso verso coloro che piangono miseria e che non possono portare il pane a casa ma che hanno la barchetta o la casa con vista sul mare. Manteneva tre figli e la moglie con solo una borsa da ricercatore? Ma non mi fate incazzare!

Che il marcio ci sia e che persone valide non ricevano i riconoscimenti meritati è un fatto oggettivo. Ma che il MIT abbia chiamato il martire Stefano non dimostra il suo valore, specie se le fonti di Doson sono attendibili. Sta dilagando un sentimento di svalutazione del nostro Paese, un pò di moda in certi ambienti, che sembra quasi temano di apparire come nazionalisti (oddio! nazional... No, no, allora non va bene! Vediamo dall'altro lato... ...isti. oddio!). Usare una storia come questa per portare alla ribalta i problemi è controproducente, perchè nell'articolo stesso ci sono punti che consentono un attacco frontale. Vero è che il buco nell'acqua del Fatto non diventa un punto di partenza per dimostrare che i problemi a cui l'articolo fa riferimento non ci sono.

Resta però un minimo di delusione se anche nel Fatto ci sono "omaggi ad amici", come nella peggiore mentalità italiana.

Una critica costruttiva a Doson: farsi un'idea del tuo pensiero in alcuni casi diventa difficile, perchè si ha spesso la sensazione tu ceda solo ad una vena squisitamente polemica. Ma penso si possa iniziare una collaborazione parallela, perchè i tuoi post recenti sono piacevolmente fuori dal coro.

Il Fatto e l'Unige

Qualche giorno fa è uscito qui un articolo sul Fatto (e per una volta sono io a citarne un articolo) a proposito della fuga di un cervello da ingegneria navale a Genova verso nientemeno che il MIT di Boston.

L'articolo è strappalacrime e descrive una realtà da operetta, ma fin qui niente di particolare. Se non che oggi ho avuto modo di parlare con un suo collega che mi ha dato una versione totalmente diversa da quella descritta nell'articolo (o meglio quella che si desumerebbe dai toni utilizzati nell'articolo). Riassumendo, disse: tal Stefano si è preso il merito di un progetto su cui hanno lavorato in tanti e va a Boston per un anno soltanto. Ci va perchè pagato dalla Nato: fosse stato il MIT a doverlo pagare la storia sarebbe diversa. I fronzoli di cui l'articolo è zeppo, oltre a non essere veritieri sono frutto del regalo di un amico (il giornalista).

Curiosamente, alcuni commenti non vanno molto distanti da quelli della mia fonte: siccome è complicato andarli a cercare, ne copio e incollo qualcuno..

DeepestBlue:

Premetto che riconosco la situazione drammatica nella quale versano miseramente l’Università e la Ricerca in Italia, e che ritengo significativo (e poco confortante) il fenomeno della ‘fuga di cervelli’ all’estero. Tuttavia rimango colpito da quanto leggo in questo articolo, soprattutto perchè scritto da una redazione che (fino ad oggi) ritenevo scrupolosa e affidabile nella ricerca e nella verifica delle informazioni.

BASTA DIGITARE SU GOOGLE I NOMI FERRUCCIO SANSA E STEFANO BRIZZOLARA PER CAPIRE CHE PROBABILMENTE QUESTO ARTICOLO NON BRILLA PER OBIETTIVITà: NONOSTANTE IN ITALIA IL PROBLEMA DELLA RICERCA E DELL’UNIVERSITà ESISTA ECCOME, RITENGO POCO FELICE L’ESEMPIO RIPORTATO. PIù CHE UNA DENUNCIA MI SEMBRA IL FAVORE DI UN GIORNALISTA AD UN AMICO, TIPICAMENTE ITAIANO.

Sono un ingegnere laureato nel dipartimento (storico e riconosciuto in tutto il mondo) dove Brizzolara era tenutario di alcuni corsi di laurea e frasi del tipo “alla sua università dedicava dodici oredi lavoro al giorno, dalla mattina a notte fonda (…) Senza troppi sabati e domeniche, passava le giornate con gli studenti” mi hanno colpito nel profondo.
Sì, perchè ogni volta che io (come tutti gli altri studenti) l’ho cercato per questioni ordinarie (spiegazioni, esercitazioni, etc.) mi sono trovato di fronte ad un fantasma: non era mai in ufficio e quando c’era era frettoloso perchè c’erano schiere di studenti assiepati alla porta (che come me lo aspettavano da settimane). Mi chiedo se si possa davvero dire che “Stefano punta tutto sulla ‘sua’ Facoltà” ma il fatto che esista “L’affermato studio del padre” mi offre probabilmente una definitiva chiave di lettura.

Per quanto riguarda il ricorso al Tar, trovo scandaloso che sia stato lui a presentarlo dopo essere stato escluso dalla graduatoria del concorso in favore di persone davvero dedicate alla didattica e alla ricerca, davvero disponibili nei confronti degli studenti, che davvero dedicano (e da molto tempo) quotidianamente la vita all’Università, la LORO Università.

Trovo infine patetiche alcune considerazioni dell’articolo: faccio proprio fatica ad avere compassione di un povero ricercatore (?) che “…amen se a fine mese si portava a casa uno stipendio che bastava appena per campare” che festeggia con gli amici in “una casa affacciata sul mare da cui si vede tutta Genova” la sua partenza verso le Americhe per la quale dovrà a malincuore rinunciare alla sua “barca ormeggiata in porto per le gite della domenica”.

Fino ad oggi ho considerato il Fatto Quotidiano come un punto di riferimento per l’informazione, sempre in grado di fornire un punto di vista lucido, completo e imparziale di ciò che descrive. Da oggi mi vedo costretto a rivedere questo pensiero.

fabiofi:

Interessante. C’é anche da dire che l’articolo è molto impreciso su altri aspetti. Brizzolara, che è certamente un ottimo ricercatore, non è professore al MIT, ma solo visiting professor al MIT (cioé un ospite, come tanti), per un anno massimo due. Non è stato chiamato “per chiara fama”, ma ha applicato e la sua applicazione è stata supportata da un professore del MIT. Inoltre Brizzolara risulta ancora oggi ricercatore dell’Università di Genova (al database del Miur). Immagino (ma è una supposizione) che abbia preso un anno sabbatico, e se questo è il caso allora riceve ancora lo stipendio dall’Università di Genova. In ogni caso, se tra un anno il MIT non lo assumerà come professore, potrà tornare in Italia trovando il suo posto intatto. Peraltro è vero che ha perso un concorso di associato, ma in precedenza non è stato trattato malissimo, ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2000 e ha vinto (candidato unico) il concorso da ricercatore nel 2001. non male. Capisco che abbia fatto un ricorso, immagino giustamente, per un concorso da associato perso, ma insomma trattare così un’università che continua a tenergli il posto mentre è in visiting al MIT mi sembra un tantinello poco elegante. Peraltro, pur essendo certamente molto bravo (ma l’ingegneria navale non è il mio campo e quindi potrei non valutare correttamente), a oggi su Scopus risultano a suo nome 8 articoli su rivista e 8 proceedings di congressi. In tutto 5 citazioni. Come molti altri ricercatori italiani in ingegneria navale (dati Scopus) in Italia. Il problema naturalmente non è lui (ripeto certamente molto bravo), ma il giornalista che ha approfittato per scrivere un pezzo pieno di errori e lacrimevole. Come lettore mi aspetteri un rigore molto maggiore nel controllo delle fonti da parte dei giornalisti del Fatto, anche se conoscenti di lunga data dell’intervistato.


Da parte mia aggiungo solo che dispiace che per una volta che si parla dell'Università di Genova ne debba venir fuori un articolo così scadente se non disonesto..