mercoledì 13 ottobre 2010

Il grande dittatore

Cari amici,
ho appena finito di vedere un film e subito mi ha assalito la voglia di parlarne con qualcuno. Data la tarda ora non ho che voi.

Bellissimo questo "Grande Dittatore" datato 1940, scritto, diretto e interpretato da un monumentale Charlie Chaplin. Registrato per caso su Sky ho deciso di guardarlo per saperne di più e l'esperimento è stato felicissimo.

La trama è semplice: la Tomania è un paese governato da un grottesco dittatore pasticcione che ha un sosia più umano, un barbiere ebreo che, dopo la guerra, si ritrova smemorato nel ghetto a preservare quel pò di umanità che resta. La comicità è decisamente d'altri tempi ma ho avuto momenti di ilarità sentita ed autentica. Se non altro è comicità intelligente. Quasi indimenticabile l'incontro tra il dittatore Adenoyd Hynkel del partito delle "croci incrociate" e l'equivalente del nostro Mussolini, Bonito Napoloni. Così come è indimenticabile la mimica facciale di Chaplin, che riesce a far ridere di colui che, in quegli anni, stava meditando di rovinare il mondo. Tutti sanno che Hitler era un acceso fan della musica di Wagner e che ne fece un momento centrale della sua operazione di unificazione tedesca. Un patito d'opera come me ha subito riconosciuto il meraviglioso stravolgimento comico in atto nella scena in cui il dittatore improvvisa una danza con un palloncino a forma di mappamondo sulle note del preludio del "Lohengrin" wagneriano.

Immaginate di essere uno spettatore del 1940. Oggi la visione non può che essere falsata da settant'anni di distanza; eppure qualcosa dell'intento del film trapela ancora: essenzialmente ridare speranza a chi non può averne. Non si tratta solo di un film comico. I momenti tristi o nostalgici ci sono e marcati. La satira di Chaplin non vuole sdrammatizzare, ha un forte intento costruttivo, culturale ed evocativo. Non prende in giro e basta. Vuole, con il pretesto della comicità del tempo, trasmettere qualcosa. Straordinaria la figura della vicina ebrea Hannah (interpretata da una ignota Paulette Goddard) il ruolo "serio" del film.

Credo non esistano parole per commentare lo splendido monologo finale del barbiere. Esso è ancora intriso di quell'ingenuità che gli eventi degli anni successivi (e dei giorni nostri) avrebbero smentito. Ma il tentativo è passato alla storia. Privo di retorica, per quanto utopistico, esso rappresenta l'afflato di un'umanità che non ci sta, di una dignità che ha ancora voglia di dire la sua, di una speranza decisa e convinta sul miglioramento delle cose. Umanità, dignità e speranza che noi sembriamo aver perduto. L'uso ancora una volta delle note di Wagner per unire e non per dividere è l'espressione del livello più alto di un'operazione di straniamento operata da parte di Chaplin e che ha, penso, ancora un valore al giorno d'oggi.

Vi consiglio questo film. E se non riuscite a guardarlo almeno informatevi su di esso.

Il vostro corrispondente dall'Emilia

1 commento:

  1. Io anni fa l'avevo visto, ricordo che mi era piaciuto, e ricordo benissimo la danza col palloncino/mappamondo!
    Invece per quanto riguarda Wagner, cito Woody Allen: "Io non posso ascoltare troppo Wagner, già sento l'impulso ad occupare la Polonia!"

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