giovedì 22 aprile 2010

Vicolanza maruega

Ecco la lettera di uno studente dell'ateneo genovese che racconta la sua esperienza di aggressione nei vicoli un sabato sera di qualche tempo fa.
Mi sono chiesto come avrei reagito io nei panni di un avventore del Moretti.
E voi?



Cara Repubblica, Sabato 21 marzo all'1 e 40 un mio amico è stato accoltellato in Via San Bernardo. Un nordafricano gli ha rubato il cellulare dalla tasca dei pantaloni, e lui ha osato richiederlo indietro, con la posatezza che uno studente alto un metro e 65, solo, può avere verso chi lo ha appena rapinato. Erano sotto la M dell'insegna Moretti, il locale tanto caro a De Andrè. La risposta è stata immediata, muta: una "lamata" nella pancia. Matteo ha 23 anni, e non sa spiegarsi come abbia rischiato di trovarsi col fegato trafitto e l'orrore del sangue nero che sgorga. Non è andata così, fortunatamente. La lama ha bucato la pelle e ha incontrato l'ultima costola, il sangue è sgorgato rosso. Ora ha solo una piccola cicatrice con cui stupire i nipotini e conquistare le ragazze, ma anche tanta angoscia e rabbia.Anche io ho 23 anni e adoro il venerdì sera nei vicoli. E so benissimo che poteva succedere a me. La tecnica dei furti in quel fazzoletto di vicolo è cosi perfetta da essere riproposta sempre, identica. "Occhio ai marueghi che rubano i portafogli", ci diciamo ogni volta che si attraversano i pochi metri tra il "Grigua" e il "Moretti". Certo, generalizziamo a sfavore dei marueghi, i marocchini, ma nessun dubbio che siano nordafricani. Così pure sostiene la polizia. Uno fa lo sgambetto o spinge il malcapitato contro il collega, che "riceve" la vittima disorientata e le infila le mani in tasca. Lavorano come in una catena di montaggio, a queste rapine di sapore fordista. A molti miei amici e conoscenti, me compreso, è capitato almeno una volta di ricevere tali attenzioni, ma conoscere l'inghippo evita ormai il furto del portafogli o del cellulare. È assurdo che nell'incredibile microcosmo dei vicoli di Genova i bar, i giovani e l'allegria delle serate debbano convivere con i furti e i coltelli. Non riesco a capire come sia possibile che l'amministrazione comunale si preoccupi molto più dei decibel notturni, proponendo di anticipare sempre più la chiusura dei locali, ben sapendo che il Moretti, per quanto affollato e rumoroso, sia il miglior guardiano possibile di Via San Bernardo. La via è probabilmente una delle più critiche dell'intera città, l'insegna del locale accesa e lo sciame di clienti alle porte sono un faro accecante, rassicurante, in una via altrimenti buia e poco frequentata.Voglio dare voce a chi la pensa come me e il mio amico accoltellato. Siamo giovani studenti, tolleranti, ospitali, cosmopoliti. Chiaramente non razzisti, anzi. Vogliamo un'Italia multietnica e multiculturale. Amiamo mangiare i kebab turchi, i chawarma arabi, parlare con i negozianti eritrei o cingalesi. Siamo affascinati dai modelli tedeschi, francesi e inglesi che abbiamo conosciuto studiando all'estero, dove un melting pot forzato ma più riuscito del nostro ha regalato una società in cui si possono vedere egiziani in auto o kenioti in giacca e cravatta (o magari presidenti). Adoriamo la pelle d'ebano dei nigeriani, nocciola degli indiani, gli occhi dolcissimi dei senegalesi. Ma i nostri amici delle grandi città italiane strabuzzano gli occhi a sentire i racconti notturni dei vicoli. Tutti noi genovesi conosciamo qualcuno derubato, minacciato con un coltello o una siringa. Nella capitale una ragazza può tranquillamente tornare a casa da sola di notte. E a Genova? Una follia se passasse per via San Bernardo, Piazza Cavour, Piazza Caricamento, Via Gramsci. I più incattiviti e esasperati credono di risolvere il problema votando Lega Nord. Noi no. Non intendiamo sparare nel mucchio a chi ha la nostra età ma è stato immensamente meno fortunato di noi, nascendo in una parte di mondo povera se non poverissima. In molti abbiamo viaggiato in Africa, Asia, Sudamerica, e sappiamo bene quanto la gente di questi paese sia ospitale, allegra, in difficoltà. Sicuramente non educata come quella europea, ma molto più generosa e amichevole. Più solidale delle decine e decine di ragazzi e ragazze genovesi che stazionavano davanti al Moretti quella sera. In molti hanno visto il mio amico ferito sotto i loro occhi sollevare la maglietta zuppa di sangue e urlare di rabbia: "Mi ha accoltellato! Mi ha accoltellato!". Il suo grido è rimbombato nella piazzetta brulicante come in una stanza vuota, tutti hanno continuato a sorseggiare meccanicamente le birre e i Negroni. Un tentato omicidio verso un nostro coetaneo non è servito ad attirare il coraggio, ma peggio ancora neanche l'interesse, di nessuno. Tutti i giovani uomini presenti in quel momento sono stati pavidi, e hanno preferito mettere la testa sotto la sabbia con codardia, nell'attesa che il siparietto come un lampo svanisse. E il gruppo di nordafricani ha solo smesso di contare i telefonini e i portafogli appena rubati, il quasi assassino ha riposto in tasca il coltello appena piantato nella pancia al mio amico, e si sono allontanati come se niente fosse, indifferenti.*Studente universitario

2 commenti:

  1. E rispondo: non credo che avrei avuto molto coraggio in piu` rispetto a quanto descritto nella lettera... In queste situazioni mi blocco preso dal panico, e il rischio concreto di prendersi un'altra accoltellata non puo` che peggiorare... Ma dovrei davvero sentirmi in colpa?

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  2. A proposito della lettera in sè, a me la prima cosa che colpisce è la firma o meglio la mancanza di firma: accusi (e biasimi) in una lettera di mancanza di coraggio gente che si trovava di fronte un criminale armato di coltello e poi non hai neppure il coraggio di firmarti...

    Dimenticandosi della mancanza di firma, il contenuto della lettera è importante e condivisibile anche se in certe situazioni bisogna trovarvisi per sapere come si reagisce e io sinceramente di fronte a uno armato di coltello non mi ci sono mai trovato...

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