giovedì 7 giugno 2012

Lavoro: conflitto generazionale

Giovani e lavoro. Disoccupazione, impossibilità di fare carriera, posizioni tanto più bloccate quanto più uno sale con responsabilità e competenze: ne leggiamo quasi tutti i giorni e ci conviviamo quotidianamente. Spesso ci si interroga su quali debbano essere le prospettive dei venti/trentenni di oggi. Meno spesso ci si interroga sul perchè la situazione italiana sia quella che è, al di là della risposta placebo "economia stagnante".

Ultimamente mi è capitato di leggere un po' di articoli nei quali i giornalisti assumevano le posizioni più disparate. Partiamo da questo, quello più provocatorio e coraggioso: Luca Ricolfi su La Stampa. Ricolfi, oltre a mettere (giustamente) in dubbio i dati da terremoto sulla disoccupazione giovanile, se la prende (anche) con i giovani italiani: non usa la parola bamboccioni ma alla fine il succo è quello. Dice che studiano fino a trent'anni quando all'estero ci si laurea a 23, che sono più indietro nell'apprendimento rispetto ai coetanei già dai 15 anni, e che - a differenza di ciò che accade nelle altre nazioni - non cercano lavoro fino a che non ne sono costretti, preferendo oziare a casa. Conclude l'articolo così "I giovani hanno anche il diritto di sapere quel che finora gli abbiamo nascosto: che studiare sotto casa, poco, male, e irragionevolmente a lungo conforta le loro mamme ma non spiana loro alcuna strada" asserendo che questo andazzo sia nato "da un patto scellerato fra due generazioni: la generazione dei padri e delle madri, iperprotettiva e per nulla esigente, e la generazione dei figli, spensierata finché l’età e le risorse familiari glielo consentono, e disperata quando deve cominciare a marciare sulle proprie gambe." Personalmente penso ci sia del vero e del falso in tutto ciò: nei fatti non credo di essere nell'insieme dei giovani descritti da Ricolfi ma devo ammettere che - psicologicamente - la tentazione di tornare a casa, del prendersi un po' più di tempo, di staccare, ecc, è sempre lì e ogni tanto la devo respingere, tanto quanto il senso di "disperazione" lavorativa di cui parla il giornalista. Certo è che buttarla solo su questo piano mi sembra un po' riduttivo e menarla sul ritardo negli studi rispetto agli altri paesi per me è una cazzata solenne: con una laurea scientifica prendi poco più di una commessa di negozio e con ben poche prospettive di avanzamento. Con una umanistica finisci a fare il pizzaiolo.. Meno male che la gente si laurea a trent'anni! Almeno prima se l'è un minimo goduta! La grande menzogna, secondo me, è stata quella di spingere così tanto sulla necessità di avere un'istruzione di alto livello: avessero creato meno corsi universitari e più corsi professionalizzanti, e avessero spinto un po' su questi, i giovani sarebbero certamente più attivi e più realizzati! Un po' di banalità a commento all'articolo di cui sopra (e a quelli che citerò tra poco) le trovate anche qui, qui e qui.

Sempre a tema, due articoli molto diversi ma anche molto vicini. Gramellini su un ventenne che non alza il culo per stringere la mano alla Fornero e che si lamenta del fatto che - con diploma alberghiero - non trova lavoro perchè non gli piace lavorare di sera (!!) e una lettera indirizzata a Calabresi in cui una diciannovenne si lamenta del fatto che tutti intorno a lei la scoraggiano nella sua ambizione nel fare ricerca nel sociale ("I ragazzi di oggi non riescono più a inseguire i loro sogni perché a questi sogni sono state tagliate le gambe, perché non abbiamo più modo di nutrirli e se non ci credi i sogni poi si spengono e scompaiono, come se non fossero mai esistiti." - da lacrime). Gramellini conclude dicendo "spero per lui che la vita gli tolga in fretta la seggiola da sotto il sedere. Una bella culata sul pavimento potrebbe ancora avere effetti miracolosi sul suo carattere." mentre Calabresi "si tappi le orecchie, non ascolti le cassandre e i disfattisti e si metta a studiare quello che l’appassiona. Ma lo faccia senza risparmiarsi, legga libri, approfondisca, si faccia guidare dalla curiosità, tenga gli occhi aperti sul mondo e abbia l’ambizione di diventare la migliore sociologa della sua generazione. Protegga il suo sogno, lo coltivi ogni giorno e sappia che quello è il suo vero patrimonio.". Io, invece, prenderei a calci nel culo entrambi. Per me sono entrambi due facce della stessa medaglia, quella di una gioventù viziata che per fortuna non è tutta la gioventù. E poi Calabresi, a rispondere così, fa solo del danno: non siamo a teatro e la vita non necessariamente è una commediola a lieto fine. Magari quella ce la farà davvero ma di cento aspiranti ricercatrici sociali (santo dio ma che razza di professione è?) a cui si risponde così, 95 finiranno a lavorare in un bar. E non saranno contente.

Concludo il post con il sempre grande Filippo Facci. E qui non servono commenti.

9 commenti:

  1. come mi innervosicono questi confronti (a mio avviso qualunquisti, banali e idioti) con le "illuminate generazioni estere"..
    questa esterofilia mi ha davvero rotto il cazzo
    in Italia abbiamo i nostri pro e contro, abbiamo il nostro retaggio culturale, le nostre abitudini, all'estero le loro, chi può dire chi è meglio e peggio?

    ridurre il problema dell'occupazione giovanile al fatto di essere bamboccioni è veramente un'insulto all'intelligenza umana.

    comunque l'idiozia del discorso di ricolfi si manifesta esplicitamente quando dice che "all'estero si laureano tutti a 23 anni, noi invece (che siamo una manica di stronzi) a 25 /30"..
    caro ricolfi, forse non sai che la struttura universitaria italiana è UN POCHINO diversa da quella francese, inglese, tedesca..
    io non ho studiato all'estero ma conosco le testimonianze di diversi ragazzi che hanno studiato in erasmus e anche di diversi studenti stranieri che hanno studiato qui da noi.
    se loro in media sono piu veloci, FORSE è anche perchè sono nelle condizioni di esserlo.
    poi ovviamente dipende da caso a caso, ma, secondo me, se in media siamo piu lenti non è perchè siamo piu scemi.

    che poi la struttura universitaria italiana sia pesante, troppo teorica, o anche che l'università italiana sforni troppi laureati rispetto alla domanda del mercato, spesso tenedo aperti interi corsi di studio tenuti in vita per esigenze di convenienza quello è vero, ma è un altro discorso.

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  2. Ma non credo che Ricolfi intendesse dire che siamo indietro perchè più scemi.. Si scaglia contro le "componenti ambientali", di mentalità e altro ma fa anche una critica a come il sistema scolastico e universitario (e non solo) è strutturato..

    E, comunque, a mio parere, alcune differenze nelle abitudini tra noi e i giovani di altri paesi ci sono davvero (anche se non credo che il discorso possa essere ridotto a questo).. In parte anche per come è strutturata la società ma in parte anche a livello di mentalità.. "Italiani mammoni" è un cliché che ha tanto del vero se ti confronti già solo con francesi, tedeschi o inglesi..

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  3. che ci sono delle differenze è normale, ma non solo a livello lavorativo.
    quello che mi da noia è che come punto di riferimento positivo si debba sempre prendere l'estero, con questo senso meodrammatico del "noi poveretti, beati gli altri"..
    secondo me è una cosa inutile e qualunquista perchè noi abbiamo la nostra storia, gli altri la loro.

    si possono fare dei confronti a livello di dati per capire alcune differenze macroscopiche, ma fare il discorso "all'estero si che sono in gamba, dato che gli studenti contribuiscono al bilancio familiare, da noi invece ci sono i NEET" mi sembra un po' una frase inutile, perchè allora uno potrebbe controbattere che in svezia i giovani studiano bene e lontano da casa, e che le loro mamme non sono iperprotettive, ma che c'è anche il piu alto tasso di suicidi giovanili

    insomma, attenzione a fare paragoni

    detto questo ben venga un'analisi e autocritica, tra l'altro sono abbastanza d'accordo con il resto che scrive ricolfi

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  4. Uuuuh Tommi come ti scaldi!! Sembri Bolo quando parliamo male dell'Italia... o Doson quando difendiamo i sogni utopici di qualcuno... o me quando ve la prendete con gli scout!!

    Io invece -forse lo sapete- credo che ci facciano bene i paragoni, basta che siano razionali e che tengano conto dei pregi e dei difetti. Bisogna che siano oggettivi, come dici te Tommi, e che ad esempio mettano in rilievo allo stesso momento sia la mammosità dei giovani italici sia l'alto tasso di depressione dei giovani nordici. Così si avrà più chiaro dove convenga puntare.

    Ad esempio avrei voluto vedere nella riforma Fornero anche delle misure per favorire il lavoro (magari part time) dei nostri quindicenni, sedicenni e diciassettenni, che passano tre mesi all'anno in completa e totale nullafacenza e che invece potrebbero fare esperienze lavorative utili sia dal punto di vista formativo che da quello strettamente monetario. All'estero durante le vacanze estive si lavora alle casse dei supermercati, nei magazzini, nei bar, ecc. Perché non cominciare anche qui ad assumerci prima le nostre responsabilità di cittadini? E questo detto da uno che non ha mai lavorato durante le sue estati!

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  5. Per rispondere invece al tuo post, Doson, ogni volta rimango stupefatto di quanto la pensiamo diversamente in materia di aspirazioni di vita, sogni, ideali, ecc. Ma dove lo trovi tutto questo cinismo???

    Io sottoscriverei ogni singola parola scritta dal direttore Calabresi. Quella ragazza di diciannove anni dimostra non solo di avere delle aspirazioni un pochetto più alte di tanti suoi coetanei che si iscrivono all'università per temporeggiare, ma anche di avere un grande coraggio perché, nonostante sia ben conscia della difficoltà, probabilmente sceglierà quella strada.

    L'alternativa che le proponi te, Doson, è quella di accettare da subito un bel compromesso con la società in cui vive: c'è la crisi, cara, devi laurearti in ingegneria così potrai realizzarti. Ma tu hai scelto matematica perché ti piaceva o perché pensavi al tuo futuro da programmatore di un'azienda torinese???

    Bene che si lanci nella sua impresa titanica, se poi finirà nel gruppo dei 99 che non hanno sfondato nel campo della sociologia potrà dire almeno di averci provato.

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  6. No, c'ho un po' pensato ma è giusto che aggiunga anche un'altra cosa: non ti offendere però!

    Con quel commento del calcio in culo alla ragazzina mi hai ricordato l'atteggiamento di quei vecchi rantegosi incarogniti che al parco insultano i ragazzini che giocano dicendogli di andare a lavorare. Anche solo per quella frasetta sono in totale disaccordo col tuo post!

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  7. Il fatto è che io non vedo la differenza tra quello che vuole lavorare come cuoco non in orario di cena e quella che vuole fare la ricercatirce sociale! (Qual'è la differenza?). Il mondo è quello che è e così bisogna prenderlo.. Altre generazioni c'hanno avuto guerre, epidemie, terremoti.. Noi direi che per il momento possiamo anche ritenerci fortunati!

    Io per primo ho ambizioni e sogni e ce la metto tutta per darmi da fare a realizzarli ma non mi metto ascrivere ad un giornale per lamentarmi se la gente mi dice - per dirne una - che è difficile diventare un calciatore! Predo le mie ambizioni, le rapporto al mondo in cui vivo e a quello che sono, lascio perdere quelle irrealizzabili e mi do da fare per ottenere qualcosa.. Ma se non ci riesco è affar mio, nessuno mi deve niente!

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  8. Mi spiego meglio: se ci crede e se ne assume la responsabilità, la ragazza fa assolutamente bene ad andare avanti nelle sue ambizioni. Esattamente come il cuoco fuori orario: se quello è il suo sogno e crede possibile realizzarlo, se non bada al rischio di fallire, eccetera, fa bene..

    Quello che contesto è la lamentela verso una società ingiusta che non incoraggia abbastanza e che preclude le possibilità desiderate.. Viviamo questa vita e non un'altra e siamo artefici del nostro destino, punto e basta.. Queste lagnanze sono capricci..

    Quando mi sono iscritto a matematica chiunque incontrassi me la sconsigliava e mi prospettava un futuro da insegnante (cosa che per me, al tempo, era quasi come darmi del fallito).. Me ne sono sbattuto il cazzo e sono andato avanti, proprio come forse farà la nostra amica, ma mai mi è venuto in mente di lamentarmi del fatto che la società ha fatto promesse che non ha mantenuto o del fatto che non mi ha incoraggiato abbastanza.. Ognuno gioca la sua partita come vuole ma con le regole del mondo in cui vive..

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    1. Ok, ora ho capito. Quindi te contesti il bisogno di queste persone di denunciare pubblicamente il loro disagio. E' effettivamente diverso da quello che avevo capito...

      Però:
      1. offendi l'Intelligenza mettendo sullo stesso piano il cuoco che non vuole sacrificarsi le serate con gli amici e una diplomanda che ha deciso di iscriversi a sociologia, scienza vecchia di almeno due secoli e corso di laurea diffuso in tutto il mondo occidentale non certo dall'altro ieri;
      2. io credo che lettere come queste siano denunce sociali -forse è la parola sociale che ti sta antipatica :)- e non lagnanze. Evidentemente questa tizia ha in mente un altro tipo di società (aridagli...) nel quale crescere e vivere, in cui la politica dedichi più risorse ai giovani e alla ricerca. Utopia in un momento come questo? Può darsi. Fa male a dichiararlo pubblicamente? Credo di no.

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